Intervista “puntuta” del Garante mentre il leader M5S accoglie i nuovi senatori. Maroni dice no al governo Lega-M5S. PD si arrovella in vista del Colle
Una giornata ricca di avvenimenti per il Senato della Repubblica quella di oggi; dalla riunione introduttiva dei 112 Senatori del Movimento 5 Stelle con Luigi Di Maio, alla registrazione dei nuovi inquilini di Palazzo Madama per la XVIII Legislatura. Per alcuni (73 in totale), un rodeo collaudato, ma per tantissimi altri no (207 i nuovi), più 38 ex deputati.
“Siamo il perno della Legislatura“. Dichiara Di Maio nel suo intervento all’assemblea dei senatori M5S chiamata tra l’altro a ratificare la nomina di Danilo Toninelli a capogruppo per i primi 18 mesi della Legislatura. Un Toninelli sempre più in prima fila e che porterà avanti gli incontri dei prossimi giorni con le altre forze politiche sul nodo delle presidenze delle Camere. E aggiunge: “Noi siamo disponibili ad un ampio dialogo con tutti, vogliamo riconoscere i vincitori e chiediamo che si rispetti il risultato delle elezioni“, ribadendo così la volontà del Movimento a guidare almeno una delle due Camere.
Il mantra sembra essere ancora quello che punta ai contenuti e non ai nomi, ma si conferma il diktat a non contemplare persone condannate o sotto processo (leggi Paolo Romani di Forza Italia). Del resto, bisogna ricordare che sul piatto non vi sono solo le presidenze delle Camere ma anche i vicepresidenti, i segretari, i questori. Tutte figure che per il Movimento devono concorrere al cambiamento, partendo da un privilegio da abolire appena possibile, quello dei vitalizi.
E, tuttavia, la mattinata dei Cinque Stelle era cominciata presto con la presa di posizione, “puntuta” quanto basta, da parte di Beppe Grillo in un’intervista a Repubblica.“Adesso la responsabilità di tutti è dare all’Italia una visione per i prossimi vent’anni. Governare è affrontare il futuro con chi condivide una visione, non dividere le poltrone e poi scoprire di non avere una visione, tantomeno comune”. Ancora: “La specie che sopravvive, anche in politica, non è la più forte, ma quella che si adatta meglio. Noi siamo un po’ democristiani, un po’ di destra, un po’ di sinistra, un po’ di centro. Possiamo adattarci a qualsiasi cosa. A patto che si affermino le nostre idee”. Tuttavia, “non assisterete a una mutazione genetica del movimento. L’epoca del vaffa è finita, ma quella degli inciuci non comincerà“. “Vigileremo…”. Insomma, va bene diventare “governativi” ma attenzione a non mettere a rischio la natura del Movimento.
Un nuovo “no” secco ad un esecutivo a tinte gialle e verdi (M5S e Lega) arriva dall’ex Governatore della Regione Lombardia, Roberto Maroni, che tira in ballo la questione del governo dei territori, dove centrodestra e Movimento sono spesso avversari all’opposizione.
Sono ore, queste, in cui in casa PD – stretto dal dilemma opposizione dura/disponibilità al confronto – si intrecciano sventagliate di dichiarazioni: se da un lato il capogruppo uscente Pd a Montecitorio, Ettore Rosato, dichiara di avere stima di Giancarlo Giorgetti (Lega), uno dei papabili per la seconda carica dello Stato, dall’altra ribadisce di non essere d’accordo a fare un governo con i 5 stelle, ma che su decisioni importanti potrebbe essere utile una consultazione degli iscritti (referendum interno, ndr). Ma l’unità che il Partito Democratico sta cercando di ritrovare vale lo spazio di un momento: a detta del presidente dem, Matteo Orfini, una consultazione con la base non è necessaria. Il tutto mentre Matteo Richetti si dichiara favorevole ad un “governo di scopo”.
Flash di contorno. Luigi Di Maio appoggia la decisione del sindaco di Torino, Chiara Appendino, di inviare al Coni la manifestazione d’interesse per le Olimpiadi invernali del 2026. Un’opportunità che secondo il leader, il Movimento deve cogliere in un’ottica di sostenibilità economica, ambientale e sociale. Intanto, la deputata e responsabile della comunicazione di Forza Italia, Deborah Bergamini, invoca un’urgente audizione sul caso Cambridge Analytica (l’inchiesta giornalistica che ha rivelato che sarebbero stati acquisiti illegalmente dati di 50 milioni di utenti da parte di Facebook, con il titolo in picchiata). “Dopo mesi in cui il dibattito pubblico è stato monopolizzato dal tema delle fake news e di possibili ingerenze estere nelle campagne elettorali, il Parlamento italiano ha il dovere di chiedere chiarezza su una vicenda dai contorni inquietanti che riguarda anche il nostro Paese”, così l’on. Bergamini.