Di Maio fa muro su modifiche. Si sgonfia la salita al Colle di Salvini, che si prepara al confronto Ue. Draghi a Strasburgo
di LabParlamento
Non è ancora arrivato in Gazzetta Ufficiale e, dunque, slitta ancora la partenza del dibattito parlamentare, ma il Decreto Dignità si va rivestendo ogni giorno di più di significati politici nel segno dell’equilibrio di forze all’interno della maggioranza di Governo.
“Il Parlamento deve avere la possibilità di discutere il DL e di migliorarlo, credo non ci sia bisogno della fiducia. Ma, lo dico da capo politico del M5s, non arretreremo sulle norme”, dice il vicepremier Luigi Di Maio a Radio1 in merito al provvedimento, criticato da molti settori imprenditoriali che chiedono modifiche in sede di conversione, con la Lega sempre più sensibile a tali richieste specie all’indomani della lettera aperta al Corsera di Silvio Berlusconi. Migliorare significa “aggiungere” e non “annacquare” – spiega Di Maio – dicendosi aperto ad emendamenti per “eliminare qualche altra scartoffia burocratica per le imprese o aumentare le pene per le aziende che delocalizzano”.
“Il decreto Dignità, che presto arriverà in Parlamento, continua ad essere attaccato da destra e da sinistra con le più fantasiose motivazioni possibili. Questo è il segnale che siamo sulla strada giusta”, rincara sempre il leader 5 Stelle in un post sul Blog del Movimento. “Il Decreto – conclude – non risolve in un colpo i problemi degli italiani, ma è il primo passo che indica la direzione che seguiremo”.
Si sgonfia intanto la portata della salita al Colle dell’altro vicepremier, Matteo Salvini, che nei giorni scorsi aveva cercato (invano) di coinvolgere Sergio Mattarella per i fondi “spariti” della Lega e la relativa dura polemica del Carroccio nei confronti dell’inchiesta avviata dalla Magistratura. “Colloquio cordiale” quello odierno tra il capo dello Stato e il ministro dell’Interno. Ma nulla più. “Colloquio incentrato su immigrazione, sicurezza, terrorismo, confisca beni mafiosi e Libia” si apprende da ambienti del Quirinale, senza nessun riferimento al “casus belli”. Dal canto suo il vicepremier ha fatto sapere che “l’incontro con il presidente Mattarella è stato utile, positivo e costruttivo”. Insomma, tanto rumore.
Il tema immigrazione al contrario resta all’attenzione generale. Mentre il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, batte finalmente un colpo e riceve a Palazzo Chigi il Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’ONU per la Libia, Ghassan Salamé, Natasha Bertaud, portavoce della Commissione europea per la Migrazione, annuncia che ” è imminente una revisione del mandato strategico dell’operazione Sophia e quindi sarà quella l’occasione per discutere le proposte italiane” (Salvini aveva annunciato che al tavolo di Innsbruck, mercoledì in sede di vertice dei ministri dell’Interno Ue, chiederà che i porti italiani non siano più usati per gli sbarchi dei migranti da parte delle navi che partecipano alle missioni internazionali”).
“Finchè la missione Eunavformed rimane in piedi, gli unici porti sono quelli italiani ma l’obiettivo è cambiare le regole di ingaggio della missione”, aveva affermato del resto Di Maio, smussando la polemica sorta con la presa di posizione di Difesa ed Esteri che la competenza in merito non è del dicastero degli Interni. “Mi ricordo che un anno fa sono stato a parlare con Frontex e mi spiegarono che il governo Renzi diede la disponibilità di portare i migranti nei porti in cambio di punti di flessibilità usati per il bonus degli 80 euro – aggiunge però Di Maio – Noi chiederemo flessibilità senza barattarla in cambio dell’apertura dei porti”.
Immediata la replica di Matteo Renzi: su flessibilità e immigrazione Di Maio e Toninelli mentono. “Due ministri del Governo italiano continuano a mentire anche oggi a proposito di flessibilità europea e immigrazione – scrive su Facebook -. Quei due o sono bugiardi o sono ignoranti, nel senso che ignorano i fatti. E mi spiace dirlo, trattandosi di membri del Governo del nostro Paese. Basta però ricordare la realtà. La flessibilità – annunciata a Strasburgo il 13 gennaio 2015 – era parte integrante dell’accordo per eleggere Juncker. Non c’entra nulla con le politiche migratorie. Nulla. Era un accordo politico di risposta all’austerità del Fiscal Compact. Sono due dossier politici completamente diversi”.
“Il protezionismo minaccia, l’Europa resti unita”. Sull’Italia: “Vediamo i fatti, poi giudichiamo”. Il governatore della Bce, Mario Draghi, in audizione al Parlamento europeo dice tra l’altro che”cresce la fiducia sul raggiungimento degli obiettivi sull’inflazione” e rassicura i mercati: “La fine del Qe non significa la fine dell’espansione monetaria”.