Da Berlusconi e Salvini toni e programmi all’opposto. Eppure mai come ora Forza Italia e Lega non possono fare a meno l’uno dell’altro
di S.D.C.
Cosa si può dire, in sintesi, all’indomani del fine settimana politico monopolizzato dalle riunioni di Fiuggi e Pontida, protagonisti nel primo caso il sempre più redivivo Silvio Berlusconi e nell’altro l’arrembante Matteo Salvini? Che mai come oggi Forza Italia e Lega sembrano distanti anni luce nei toni e nei programmi. Eppure allo stesso tempo destinati ancora una volta ad un cammino elettorale comune nella scommessa della futura salita a Palazzo Chigi.
L’ex cavaliere (Antonio Tajani al suo fianco) sembra ormai pienamente (ri)conquistato alla linea liberal europeista che, sola, gli può garantire il rientro a pieno titolo nell’agone politico, soprattutto nazionale, nell’ottica di una completa riabilitazione non soltanto morale. Un obiettivo ormai quasi raggiunto anche grazie alla nomina di Tajani all’Europarlamento e ai suoi buoni uffici in quel di Strasburgo e nelle segreterie delle capitali europee che contano. Supportata dall’idea prevalente che FI possa rappresentare comunque un argine al populismo di Lega (e Cinque Stelle), in Europa sta prendendo corpo da tempo una posizione conciliante verso l’ex presidente del Consiglio (a suo tempo fatto oggetto di scherno, dure polemiche e un appoggio più che fattivo nella sua sostituzione con Mario Monti). In ogni caso, un po’ d’Europa, più mercato e meno tasse sembra essere lo slogan per la prossima campagna elettorale. Verrebbe da dire nessuna grande novità rispetto al passato se non fosse che la novità, oltre tutto e tutti, sta in chi si ripresenta al centro della competizione dopo essere precipitato. E dunque può godere di un rinnovato interesse e persino di una ritrovata simpatia.
Dall’altra parte, Salvini (Giovanni Toti alla sua destra) si è liberato rapidamente della giacca e cravatta enfatizzati in quel di Cernobbio per tranquillizzare l’establishment specie internazionale, ed è tornato alla più congeniale felpa da comizio, slanciandosi in attacchi mai così duri e rissosi quasi contro tutto e tutti. Non a caso rispolverando il ricorso all’utilizzo “forte” delle forze dell’ordine sull’onda dei recenti fatti di cronaca ma anche di un rinnovato tentativo di conquistare l’appoggio esplicito della Destra più o meno etichettata, per rastrellare voti nel bacino di Fratelli d’Italia ma soprattutto tra le numerose fazioni ultraconservatrici e perfino anarchiche che gravitano nell’orbita di Casa Pound. Naturalmente, il recente blocco dei beni economici del partito ha acuito i toni, fornendo in ogni caso un assist tutto sommato ben accetto. E relegando quasi in subordine, almeno per ora, le pesanti critiche di Umberto Bossi e l’opposizione interna, latente, di Roberto Maroni che, però, potrebbe farsi più manifesta da un istante all’altro.
Posizioni evidentemente opposte quelle dei due candidati premier del Centrodestra. Nulla però che possa impedire, al di là delle espressioni da veri e propri tribuni, un accordo finale. Nessuno dei due partiti (fermi grosso modo al 15% ciascuno) potrà infatti mai sperare in un successo senza l’appoggio dell’altro. Oltretutto con un voto a livello di regionale che resta disomogeneo, FI posizionata al centro-sud e la Lega al Nord sebbene in corsa da tempo, tuttavia con scarsi risultati, per allargare la vecchia delimitazione padanocentrica. Risultato: un probabile compromesso in un programma “da lotta e da governo” per il post urne a fronte del mantenimento dell’attuale sistema di voto proporzionale, quando le convenienze politiche, come sempre, avranno la meglio sulle promesse elettorali. Praticamente la stessa situazione sulle quale sono naufragate le passate esperienze governative del Centrodestra. Qualcosa in fondo di non troppo dissimile dai tormenti dell’Ulivo.