È scoppiato un focolaio Covid fra i vaccinatissimi membri del PD romano. Un avvenimento che evidenzia ciò che molti esperti ripetono da mesi: cioè che né il vaccino, né il green pass riescono ad evitare del tutto il contagio e la propagazione del virus.
Eppure – nello stesso giorno in cui ciò accade – con un’illogicità stringente, altri esponenti romani di quello stesso Partito Democratico, anziché analizzare il problema e riflettere sulla rotta sin qui intrapresa – la cui illogicità sul piano medico è stata più volte evidenziata da illustri microbiologi come Andrea Crisanti – hanno annunciato che, a breve, sono possibili provvedimenti atti, non tanto a contenere i contagi fra tutta la popolazione – vaccinata e non – quanto a colpire ulteriormente i soli No vax, considerati ancora una volta gli unici reietti da punire, a prescindere da tutto, gli unici colpevoli, pur in assenza di qualunque loro reato, dato che il vaccino continua a non essere obbligatorio per legge.
A furia di parlare ogni giorno, da due anni, di “guerra al virus”, proprio come nelle guerre, sta accadendo dunque che, in nome di quella guerra, nel nostro paese stia sparendo ogni logica di buon senso, ogni tentativo di analisi oggettiva delle questioni, ogni criterio di equità e di legalità, ogni senso di solidarietà sociale e che, in nome di una battaglia contro un presunto “nemico” – categoria nella quale viene arruolato, in modo pregiudiziale, anche chiunque ponga dei dubbi – ogni insensatezza, sopruso e discriminazione vengano considerati legittimi.
Contemporaneamente, l’informazione sembra ridotta – in modo spesso volontario – a puro strumento di propaganda, con noti colleghi che non si vergognano più nel dichiarare – a volte persino con orgoglio – di operare una censura totale e preconcetta nei confronti di quelli che definiscono i “Novax”. Categoria, oltretutto, inventata di sana pianta da noi giornalisti, come evidenziato anche in alcuni precedenti articoli apparsi su questa testata.
Quando, poi, alcuni fra i più autorevoli esponenti del giornalismo italiano – da Michele Santoro a Marco Travaglio – ricordano che giornalismo non significa dare voce solo a chi la pensa come noi e che intervistare un Novax non vuol dire essere Novax, così come intervistare un killer non significa essere a nostra volta un killer – altrimenti Alda Leosini, l’autrice di “Storie Maledette”, che da decenni entra nelle carceri a intervistare pluriomicidi, a quanti ergastoli andrebbe condannata? – quegli autorevoli colleghi vengono guardati con sospetto, tacciati di “collaborazionismo col nemico” e messi anche loro nel calderone dei “cattivissimi“ da emarginare e punire.
Nel bel mezzo di questa informazione distorta, che sbeffeggia decenni di tradizione democratica, nel pieno di questa narrazione fuorviante, succede, però, che qualche evento finisce per inceppare il meccanismo e per smontare il castello costruito. Un castello che, quindi, comincia ad apparire, con una certa evidenza, come un castello di carte, che si dissolve al primo soffio di vento, anziché un maniero dalle solide fondamenta e fatto per resistere agli attacchi.
Giornali e TV continuano indefessi, ovviamente, a raccontare soprattutto delle gesta demoniache dei terribili Novax, che si aggirano come fantasmi per l’Italia e per il mondo per contaminarci tutti, che celebrano riti satanici – come il convegno organizzato a Torino da Massimo Cacciari e Carlo Freccero – che spargono fake news deliranti sulla terra piatta e che non credono nella scienza e nei vaccini.
Però, mentre si racconta tutto questo, proprio in quel Sancta Sanctorum del pensiero Si Vax che è il PD romano, tra i super vaccinati – e dunque, teoricamente, super immuni – esponenti di quel partito, quelli da poco eletti in Campidoglio sulla scia di Roberto Gualtieri, scoppia un focolaio di Covid 19.
A darne notizia è nientemeno che Svetlana Celli, neoeletta presidente dell’assemblea capitolina, che è risultata positiva al tampone molecolare. Con lei, altri esponenti del Partito Democratico romano paiono essersi infettati, tanto che in Campidoglio si è deciso di sospendere ogni incontro in presenza, limitandosi a riunioni on line.
Se questo è potuto avvenire in un luogo controllatissimo come l’Aula Giulio Cesare del Comune di Roma, in cui non è possibile accedere sprovvisti di green pass, ed è accaduto proprio fra gli esponenti di quel partito che è in prima linea nella campagna vaccinale, come il PD, figuriamoci quale potrebbe essere la situazione nel resto del paese, in altri luoghi anch’essi aperti esclusivamente ai possessori di green pass.
Quante altre Svetlane e quanti altri Svetlani Celli, vaccinati con doppia o tripla dose, con in tasca un validissimo super green pass, eppure positivi – magari asintomatici – stanno girando adesso nel paese? A quanti altri nuovi focolai daranno vita a breve? Che senso ha, dunque, lasciarli liberi di infettarsi e di infettare, solo perché possessori di super green pass e, al contempo, evitare la libera circolazione di non vaccinati che risultano negativi ai tamponi e dunque non contagiosi?
Nessuna sensata ragione medica giustifica queste scelte, motivate solo da ragioni politiche e culturali, oltre tutto discriminatorie e punitive nei confronti di una categoria sociale, quella dei non vaccinati. Una categoria che, fin tanto che il vaccino non diverrà obbligatorio per tutti – cosa che al momento non è, né si prevede che sia a breve – non sta neanche trasgredendo nessuna legge e che, dunque, lo ripeto, viene punita in modo pregiudiziale e vessatorio, in assenza di reato.
Il caso Svetlana Celli è una cartina di tornasole che smaschera l’insensatezza, sul piano del contenimento del virus, delle recenti norme sul super green pass. Forse ben altra risonanza avrebbe avuto sui media in altri momenti storici. Oggi passa come un trafiletto insignificante, una piccola nota di poche righe, su cui praticamente nessuno si sofferma a riflettere.
Non solo. Nello stesso giorno in cui il caso diventa di dominio pubblico, sordo ad ogni logica, a pochi chilometri di distanza dal Campidoglio, in quel di via della Pisana, un altro esponente romano del PD, l’assessore alla sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato, ha annunciato una possibile stretta riservata ai non vaccinati, un lockdown differenziato solo per i No vax.
In pratica si ipotizzano degli arresti domiciliari di fatto, riservati a una categoria sociale che, per quanto criminalizzata dai media, risulta qui – nel focolaio scoppiato in Campidoglio – del tutto estranea e incolpevole. Dunque indicata come “rea” da colpire, in base a una scelta politica, più che in base all’analisi dei dati sui concreti motivi nella diffusione dei contagi.
La tempistica dell’annuncio di D’Amato lascia stupefatti. Certo, al momento si tratta solo di una proposta, Non è detto che si trasformerà in una disposizione concreta. Ma già il fatto di avere annunciato una proposta di questo tenore ha il suo peso.
È il segno, che – perlomeno da parte del PD – la volontà è quella di proseguire a testa bassa nella narrazione fin qui adottata, come se il caso Svetlana Celli – avvenuto proprio in casa loro – non suggerisca scelte diverse. La narrazione continua ad essere: vaccinati = immuni = non contagiosi a prescindere = buoni; non vaccinati = untori = contagiosissimi anche se sani e negativi ai tamponi = cattivi.
Una narrazione smentita da molti virologi e, nel caso del consiglio capitolino, smentita dai fatti. Una narrazione che rischia di porre in essere norme insensate e ingiustamente discriminatorie, al limite dell’incostituzionalità.
L’avvocato Alessandro Spatari, a proposito delle norme anti-pandemiche messe in atto nel paese negli ultimi mesi, qualche settimana fa parlò di un Governo e di autorità politiche locali che hanno “agito in maniera illegale, criminale”. Parole molto forti. Per questo, l’avvocato Spatari decise anche di portare lo Stato e la autorità locali in tribunale.
Si potrebbe pensare che quell’avvocato, semplicemente, sia solo un folle e invasato Novax, destinato a venire umiliato e coperto di ridicolo in giudizio, poiché privo di alcun concreto appiglio. Ad essere onesti, l’ho pensato anche io.
Fatto sta che la Corte di Cassazione, nei giorni scorsi, gli ha dato ragione e che, nel caso, esemplare, della nota Torteria di Chivasso – un locale esplicitamente renitente nell’applicare le norme anti Covid previste dai vari DPCM, perciò chiuso dalle autorità e da lui difeso – la Cassazione ne ha disposto il dissequestro, smentendo il Governo nazionale e ogni altra autorità.
Dunque, è stato non un terrapiattista Novax, bensì una fra le massima autorità statali, quale è la Corte di Cassazione, a dire che un uomo che dichiara che alcune scelte politiche anti pandemiche sono “illegali e criminali” forse proprio tutti i torti non li ha.
Insieme al caso Svetlana Celli, anche il caso Alessandro Spatari è, dunque, un altro elemento che lascia riflettere su quanto ci sia da rivedere nella narrazione attualmente più in auge su virus, contagi e costituzionalità delle norme a tal fine proposte e applicate.
Questi “casi” Celli e Spatari, da me citati, al momento non forniscono certo dati inequivocabili e univoci, che diano certezze assolute di un tipo o di un altro, ma possono servire come utili spunti di riflessione, che lasciano il campo aperto a diverse risposte e possibilità, a benefici dubbi, utili a compiere le giuste scelte per contenere davvero sia la diffusione del virus che quella di una china antidemocratica, anche se non necessariamente in linea con quanto si sente dire oggi dalla maggior parte dei media e delle autorità politiche.
Sono riflessioni che sarebbe utile facessero tutti, a partire dalle autorità preposte, anche perché non vorrei trovarmi, a breve, proprio io che pensavo all’avvocato Spatari come a un invasato, a finire per doverne condividere le posizioni – perlomeno quelle nei confronti delle presenti e future scelte del governo, delle autorità regionali e locali – con governi, comuni e regioni che continuano a seguire un’unica via, preconcetta, senza un’analisi serena di quanto risulta di volta in volta dai dati di realtà, come sembra potrebbe essere nel caso delle proposte avanzate dall’assessore della Regione Lazio Alessio D’Amato sul lockdown differenziato – di cui al momento mi sfugge la logica e l’utilità – e senza rispetto delle garanzie costituzionali, come potrebbe presto avvenire con le continue proroghe di uno stato di emergenza, i cui limiti costituzionalmente previsti stanno per essere superati.