Strutture variegate ma il problema sta nella difficoltà di rappresentare le istanze di partecipazione al dibattito
di Omar Ariu
Spesso, quando si discute di partiti in Italia, ci si dimentica che la classe dirigente politica attuale è stata formata e politicamente istruita dalle “scuole” di formazione del ‘900. Stiamo parlando delle organizzazioni giovanili dei grandi partiti di massa, dal Pci alla Dc passando per il Psi.
Ma oggi i soggetti politici presenti nel sistema politico italiano possono vantare una rappresentatività giovanile strutturata al loro interno come lo era allora?
Andiamo per gradi. Nel periodo di forte mobilitazione politica, che di fatto va dal dopoguerra fino alla metà degli anni ‘80, il Pci disponeva di una sua Federazione Giovanile Comunista Italiana, molto attiva nelle lunghe fasi di partecipazione politica che da costola del principale partito rivendicava autonomia organizzativa interna nei suoi vari congressi. Con lo scioglimento del Pci nei primi anni ‘90 inevitabilmente anche l’organismo giovanile ha subito via via un percorso di trasformazione e di progressiva decrescita, fino allo scioglimento. Anche la Dc ha avuto il suo movimento giovanile, nato nell’immediato dopoguerra, che ha rappresentato un rilevante percorso politico per tanti giovani. Entrambe le federazioni giovanili, in sintesi, potevano contare su decine di migliaia di iscritti all’interno delle rispettive organizzazioni, riuscendo a coinvolgere tantissimi giovani in tutta Italia.
Il periodo di transizione della “prima Repubblica” ci ha portato ad oggi in un contesto in cui, come ben sappiamo, i giovani sono particolarmente riluttanti ad un certo tipo di attivismo di carattere partitico, tant’è vero che sono ben pochi i partiti a disporre di strutture in cui i giovani partecipano con i metodi “convenzionali” della vecchia politica di massa.
Il dato sicuramente più emblematico ed interessante è che, paradossalmente, il soggetto politico più seguito dai giovani anche a livello elettorale è il Movimento 5 Stelle, ovvero l’unico movimento che non ha alcuna organizzazione giovanile. Sembra assurdo, ma è così.
O probabilmente non è poi così assurdo, se si guarda ai canali di adesione e di supporto politico che si sono via via diffusi negli ultimi anni. Come abbiamo sottolineato prima, infatti, i giovani (in linea generale ovviamente) non si sentono più così “partiticamente rappresentati” e preferiscono non identificarsi per “categoria politica e sociale” all’interno di un partito. Sembrano attivarsi con metodi differenti, esprimendo le proprie posizioni politiche attraverso gli strumenti web come i referendum telematici delle piattaforme online, oppure prendendo parte ai meet up cittadini. Sembrano sentirsi partecipi di un progetto politico unitario, non relegati a tematiche prettamente giovanili.
Questa dinamica è parzialmente contemperata dagli altri partiti che, sebbene in misura minore, riescono a tenere in piedi delle strutture politiche giovanili le quali rievocano quelle dei partiti di massa di cui abbiamo parlato precedentemente.
La Lega Nord ad esempio dal 1991 ha una sua formazione giovanile, i Giovani Padani, che nei territori del nord Italia appare ben strutturata secondo modelli territoriali: sono presenti infatti i circoli cittadini, i coordinamenti provinciali e nazionali fino ad arrivare al coordinamento federale, all’interno del quale il responsabile viene scelto su base elettiva da tutti i giovani padani. Ad oggi tale movimento può contare su alcune migliaia di iscritti collegati alla struttura centrale del partito, ma che gestiscono la struttura in maniera autonoma. Il loro peso è tutt’altro che trascurabile, elemento certificato dal fatto che l’attuale segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, è stato un militante molto attivo dei Giovani Padani fino a qualche anno fa.
Nel campo del centrodestra, invece, le dinamiche sono un po’ più complesse. Mentre in passato il Pdl di Silvio Berlusconi disponeva della “Giovane Italia”, nata nel 2009 con l’obiettivo di creare un collegamento con il mondo della scuola e dell’università, oggi questo progetto ha preso una piega declinante a partire dallo scioglimento dello stesso Pdl nel 2013. Parte di quei giovani, quelli più inclini alla militanza politica provenienti da An, sono confluiti in generale nella “Gioventù Nazionale”, l’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni (tra l’altro la prima storica presidente nazionale del movimento giovanile del Pdl). Gli altri, invece, hanno costituito “Forza Italia Giovani”, che però non ha più saputo strutturare una chiave organizzative definita. In sintesi, il centrodestra oggi si ritrova con più nuclei giovanili ma di scarsa incisività.
Un altro soggetto giovanile ancora ben delineato è invece quello del Pd. I Giovani Democratici, probabilmente la più consolidata organizzazione giovanile a livello partitico, può contare ad oggi più di 30.000 iscritti in tutto il territorio nazionale distribuiti nei vari coordinamenti provinciali e regionali. Anche in questo caso la formazione dei giovani democratici rivendica una autonomia nella gestione e nell’organizzazione dello stesso movimento rispetto al partito centrale, tant’è vero che circa tre anni fa la Direzione Nazionale dei GD ha inserito la figura del Coordinatore Nazionale con la funzione di reggente fino allo scorso anno a causa delle dimissioni anticipate del precedente segretario.
In ogni caso, la palese difficoltà di tutti i movimenti politici italiani nel riuscire ad avvicinare i giovani alla vita del partito all’interno di una propria organizzazione giovanile è ben esemplificata dai dati. Probabilmente i cambiamenti delle modalità di partecipazione politica in generale hanno coinvolto anche i giovani, i quali tendono a non bypassare più la loro rappresentanza sui canali di partito. Chi ancora ci crede lo fa in maniera “indisciplinata” come ad esempio avviene dentro il M5S in cui tutti possono occuparsi delle medesime tematiche. C’è, insomma, una questione giovanile dei partiti, ovvero, probabilmente, i partiti stessi non sono più in grado di veicolare adeguatamente le loro istanze di partecipazione. Questo non significa che i giovani non si attivino più in campo politico o che siano definitivamente disinteressati. Gli studi in questo campo sono molteplici e verosimilmente sarà soltanto la storia a darci risposte più chiare a questi quesiti.