Trattamento fiscale, pagamenti e rischio privacy. E comunque il nostro Paese resta in fondo alla classifica Ue. Web Tax in salita
Sempre più italiani comprano online, anche se il nostro Paese rimane in fondo le classifiche europee dello shopping elettronico. Questo, in estrema sintesi, quanto rappresentato dall’Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea.
Nell’anno appena trascorso, il 73% degli italiani hanno utilizzato internet, ma di questi, appena 4 navigatori su 10 hanno acquistato prodotti o servizi online (il 43,8%), facendo scivolare il Belpaese al23° posto sui 28 Paesi membri dell’UE, davanti soltanto a Croazia, Cipro, Bulgaria e Romania.
Riconoscendone, però, i molteplici benefici, sono sempre di più gli italiani che si avvicinano al commercio elettronico: tra il 2012 e il 2017 l’Istituto di statistica europeo ha registrato un aumento di 15 punti percentuali di utenti connessi, con un vero e proprio boom di acquisti tra i giovani italiani dai 16 ai 24 anni, insieme ad una notevole propensione alle spese digitali registrate nella fascia dai 25 ai 54 anni.
Insomma, il commercio elettronico rappresenta il futuro, ma ancora molte rimangono le paure dei nostri connazionali legate ai negozi virtuali. Tra i motivi di maggiore diffidenza, il timore verso i pagamenti elettronici, i dubbi circa la privacy e l’utilizzo dei dati degli utenti, insieme alle perplessità legate all’effettiva ricezione e qualità della merce. Ma la vera sfida è sempre quella di accrescere la cultura e le competenze nel mondo dell’innovazione, vero driver degli acquisti elettronici futuri.
La strada elettronica, però, sembra tracciata: i big dell’hi-tec si preparano a sostituire le banche tradizionali, prestando denaro e comportandosi come veri e propri gestori del nostro risparmio. I giganti di internet hanno ormai preso il posto delle agenzie viaggio e delle biglietterie ferroviarie, e presto faranno sparire dalle nostre tasche monete e banconote trasformandole in denaro virtuale da spendere unicamente sul Web. Le piattaforme telematiche, elaborando i nostri dati, sanno già oggi consigliarci il miglior vestito e suggerirci un ottimo film da vedere la sera, naturalmente su Internet.
Ma, che si creda o meno nel commercio digitale, il futuro non sarà di certo più lo stesso. È opinione piuttosto condivisa come le vendite online uccideranno progressivamente i canali di acquisto tradizionali, prossima emergenza di cui ancora la politica fatica a trovare le giuste ricette, anche se sembrano intravedersi i primi timidi passi: è il caso del riconoscimento, ad opera dell’ultima Legge di bilancio, di un credito di imposta di 20.000 € per tutte le librerie che operano fisicamente sul territorio, sconto fiscale utile ad abbattere i costi di IMU, TASI e TARI, imposte legate ai locali dove si svolge l’attività di vendita.
Ma l’obiettivo primario per il Governo rimane sempre quello di cercare di fare “cassa”, sia per incrementare le entrate dell’erario, quanto per ristabilire una giustizia fiscale da tempo perduta tra server, domìni e sedi legali in paradisi esotici.
È il caso della recentissima introduzione della cosiddetta Web tax, ovvero una tassazione del 3% (in luogo del 6% in precedenza ipotizzato) relativa a ciascuna transazione online, destinata a colpire tutte le società che fatturino più di 3.000 transazioni via web, sia esse italiane o estere. Ma non sono mancati i commenti negativi alla misura, giudicata poco incisiva a contrastare vere e proprie attività elusive, depotenziando i controlli dell’amministrazione finanziaria e lasciando alla dichiarazione del singolo commerciante elettronico il superamento o meno dell’asticella delle 3 mila transazioni. La disciplina finale, comunque, verrà dettagliata in un apposito decreto del MEF, in arrivo entro il 30 aprile prossimo, ma già qualcuno dubita che sulla scrivania che fu di Quintino Sella possa arrivare in tempo una bozza da approvare in così poco tempo e in mezzo ad una campagna elettorale che si annuncia rovente. Con buona pace di Internet e di tutti i suoi commercianti virtuali.