I socialdemocratici hanno approvato l’accordo preliminare con la CDU di Angela Merkel. Però non tutto è ancora risolto
di Mara Carro
Il Congresso straordinario del Partito socialdemocratico (Spd) ha dato il via libera, ieri, alle trattative per formare un governo con l’Unione Cristiano-Democratica (Cdu), il partito di Angela Merkel, approvando l’accordo preliminare raggiunto dai vertici dei partiti lo scorso 12 gennaio. Il presidente dell’SPD, Martin Schutz, ha ricevuto il mandato di negoziare un accordo di coalizione con la CDU e si è impegnato a sottoporre l’intesa al voto di tutti i 440 mila membri del partito.
Il voto dei delegati, 362 i favorevoli, 279 i contrari, avvicina la Germania ad una nuova edizione della “Grosse Koalition ” tra Cdu-Csu e Spd e potrebbe contribuire, in maniera determinate, a porre fine ad uno dei più lunghi periodi di incertezza nella recente storia politica tedesca. A quattro mesi dalle elezioni del 24 settembre, la Germania non ha ancora un governo.
Il cambio di rotta della dirigenza SPD in merito alla “GroKo” ha quasi del clamoroso. Era la sera del 24 settembre quando Schulz, il cui partito aveva appena ottenuto solo il 20,5% dei voti, l’esito peggiore dal dopoguerra, escludeva la possibilità di nuovo accordo con Angela Merkel, annunciando la presenza dei socialdemocratici tra le fila dell’opposizione. Posizione ribadita anche dopo la notizia del fallimento dei negoziati tra Cdu-Csu, Verdi e liberali. Una riedizione della “grande coalizione” era però la soluzione caldeggiata dal Presidente della Repubblica federale, Frank-Walter Steinmeier, e forti sono state le pressioni su Schulz in questo senso. A ciò si aggiunga un preciso calcolo politico. Molti nel partito di Scultz sono consapevoli che una coalizione CDU / CSU – SPD – non gradita dalla base – potrebbe danneggiare ulteriormente l’SPD ma sanno anche che nuove elezioni potrebbero portare ad un risultato ancora più disastroso. Ultimo fattore, il desiderio di Schulz di non sprecare, a livello europeo, la finestra di opportunità offerta dalla presidenza Macron in Francia per riformare l’Unione Europea e rilanciare la prospettiva degli Stati Uniti d’Europa.
Su queste premesse, domenica pomeriggio, il leader SPD ha chiesto “fiducia”ai delegati socialdemocratici, sostenendo che il partito ha una precisa responsabilità nei confronti dei propri elettori e dei partner europei tedeschi, che contano su Berlino per far avanzare l’agenda delle riforme dell’Ue.
Al fronte del ‘no-GroKo’ appartengono la corrente interna di sinistra del partito, i membri dell’organizzazione giovanile dell’Spd,i Jusos, e diversi leader socialdemocratici regionali e locali che avevano già espresso dubbi sull’accordo preliminare del 12 gennaio. A parer loro, il pre-accordo raggiunto con la Merkel non rifletterebbe adeguatamente le priorità dei socialdemocratici in settori come il mercato del lavoro, l’integrazione dei migranti e l’assistenza sanitaria. Alla base dello scetticismo c’è la preoccupazione di danneggiare ulteriormente l’immagine dell’Spd come forza per il cambiamento sociale ma soprattutto il timore che ad essere in gioco ci sia il futuro stesso del partito, uscito diviso dalla convention, che rischia di essere ulteriormente emarginato e sostituito da movimenti più radicali, come è già successo ai socialdemocratici in altre parti d’Europa negli ultimi anni.
Nonostante il voto a favore dell’avvio dei colloqui di coalizione, un nuovo governo a Berlino è tutt’altro che garantito. L’eventuale mancata sottoscrizione di un accordo di coalizione porterebbe probabilmente a nuove elezioni generali. La Merkel ha infatti sempre espresso un profondo scetticismo riguardo ad un governo di minoranza e i colloqui con gli altri partiti sono falliti a novembre.
La notizia del via libera dell’Spd è stata accolta con favore dagli altri leader europei, a partire dal primo ministro italiano, Paolo Gentiloni, che su Twitter ha definito il voto dei socialdemocratici tedeschi “un passo avanti per il futuro dell’Europa”.
Un ulteriore ritardo nella formazione di un governo in Germania rischia di avere gravi conseguenze anche per l’Ue che di fatto è stata costretta a sospendere le discussioni su riforme e priorità finanziarie fino all’insediamento di un nuovo esecutivo a Berlino.