‘Trappola flessibilità’ per le donne. ‘Rischio congiuntura’ per i giovani. La presentazione oggi, a Roma
‘Trappola della flessibilità’ per le donne e ‘rischio congiuntura’ per i più giovani. Sono questi i due messaggi principali emersi dall’odierna presentazione del rapporto sul mercato del lavoro del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), realizzato in collaborazione con Anpal ed Inapp.
Entrando nel dettaglio del rapporto si vede che analizzando in termini di andamento dell’occupazione il periodo di crisi economica, il report individua tre fasi.
La prima, che si sviluppa tra il 2008 e il 2011, è la fase in cui si registra il crollo occupazionale della componente maschile. La seconda fase (2011- 2014) è quella invece di avvio del contenimento del fenomeno e di lieve ripresa dell’occupazione femminile. L’ultima fase, temporalmente collocabile tra il 2014 e il 2016 è la fase di incremento generale dell’occupazione, in prevalenza maschile.
Ma, “poiché il numero degli occupati non è sufficiente a illustrare le modifiche intercorse sul mercato,” – si dice nel rapporto – “è stata presa in considerazione l’unità di misura per il salario e la produttività: le ore lavorate”.
Da questo tipo di analisi emerge proprio quanto si diceva in apertura: a partire dal 2011, ma soprattutto nel periodo che potremmo dire del ‘Jobs Act’, si registra una riduzione delle ore lavorate, prima a carico soprattutto degli uomini e poi invece a carico delle donne e che conferma appunto la ‘trappola delle flessibilità’ e la ‘segregazione orizzontale per le donne’.
Sul punto, il rapporto fornisce una puntuale ed interessante analisi, affermando che “il fatto che il part time mostri un costante trend crescente fra il 2008 e il 2017 sia per gli uomini che per le donne, e anche in concomitanza di cadute dell’occupazione generale, induce a pensare che l’istituto sia stato utilizzato come veicolo di creazione di nuova occupazione (per le donne) e come strumento di contenimento dell’occupazione, con i relativi riflessi sui costi del lavoro. La natura “strategica” del taglio del monte ore lavorate troverebbe conferma nell’incidenza crescente del part time involontario, con effetti di compressione salariale che aggrava gli esistenti gap strutturali di genere e che si estendono a considerazioni di ordine macroeconomico (ripresa dei consumi, effetti sulla domanda interna, ecc.)”.
Proseguendo la lettura dei dati sul fronte femminile, il rapporto ci dice che le donne attive sul mercato sono con ogni probabilità le più istruite e quelle con le potenzialità retributive più elevate rispetto alle inattive e che il gap retributivo di genere è in Italia molto ampio nel lavoro autonomo (le donne guadagnano in media il 54% in meno rispetto ai lavoratori autonomi).
Quanto ai livelli occupazionali raggiunti dai grandi Paesi europei, l’Italia conferma il gap occupazionale che addirittura cresce per la componente femminile, soprattutto se residente nel Sud.
La ricetta per ridurre questo gap è, secondo il rapporto, nell’alta formazione che contribuisce a rendere la carriera lavorativa delle donne assimilabile a quella maschile anche se, a 4 anni dalla laurea lavora il 70,8% delle donne contro il 74,5% dei maschi.
Passando invece ad analizzare i risultati degli incentivi proposti negli ultimi anni dal Governo, il rapporto dice che hanno sostanzialmente funzionato, anche se limitatamente al periodo in cui gli stessi incentivi sono stati previsti. Tuttavia, la fine delle agevolazioni, unitamente al nuovo contratto a tutele crescenti, non hanno determinato la ‘fuoriuscita’ dal mercato del lavoro di coloro che vi erano entrati in virtù delle stesse agevolazioni.
Quanto all’analisi per età, il rapporto “conferma la più elevata esposizione dei giovani al ‘rischio congiuntura’: l’occupazione giovanile diminuisce più rapidamente rispetto all’occupazione totale in fasi di recessione, e cresce a tassi maggiori in fase di crescita. L’elasticità del flusso di nuovi contratti rispetto alla disponibilità degli incentivi decresce con l’età: la riduzione del costo del lavoro comportata dagli incentivi ha cioè incrementato le assunzioni di giovani in misura più che proporzionale rispetto alle altre classi di età, e la riduzione del contributo ha prodotto una flessione degli ingressi più evidente per le fasce più giovani”.
Infine, ancora due dati appaiono interessanti. Il primo riguarda la consistenza, struttura e composizione del lavoro alle dipendenze della P. A. e dice che dal 2001 al 2015 i dipendenti pubblici di età fino a 35 anni si sono ridotti del 69%, che complessivamente nello stesso periodo si è registrata una riduzione nell’entità dei dipendenti pubblici pari all’8,7% e che oltre i 2/3 dei dipendenti a tempo determinato in servizio nella P. A. sono occupati nei comparti Regioni, Autonomie locali e Sanità.
L’altro dato attiene più alle relazioni industriali e si riferisce al crescente numero dei contratti nazionali di lavoro vigenti depositati ex lege. Infatti, tra il 2012 e il 2017 si è passati da 549 contratti collettivi nazionali di lavoro a bene 868, segno di una crescente frammentazione che aggrava i problemi di rappresentanza/rappresentatività sindacale, da entrambe le parti, che impattano anche sulle questioni relative alle forme di gestione dei conflitti e all’esercizio dei diritti costituzionali.