Tra mercato del lavoro sempre più flessibile e utilizzi impropri. Con l’incognita referendum
di Omar Ariu
Con il progressivo cambiamento del mercato globale del lavoro sul versante di una maggiore flessibilità, anche l’Italia da diverso tempo porta avanti politiche in tal senso. Uno degli esempi di questa tendenza è il “buono lavoro” meglio conosciuto come “voucher”, introdotto ormai più di tredici anni fa e recentemente divenuto oggetto di discussione accesa. Ma andiamo con ordine perché si tratta di una storia complessa.
Con il Decreto Legislativo 276/2003, la famosa riforma Biagi varata durante il secondo Governo Berlusconi, vennero introdotti per la prima volta i buoni lavoro, con l’obiettivo dichiarato di disciplinare quei rapporti occupazionali caratterizzati da una natura prettamente occasionale (dunque non riconducibili alle forme di lavoro subordinato o autonomo) come, ad esempio, i lavori di giardinaggio, le lezioni di insegnamento private, o gli impieghi saltuari svolti nel settore agricolo e in quello turistico, in modo da poter sottrarre queste attività al mercato del lavoro nero e collegarle invece al sistema previdenziale e assicurativo.
Potevano beneficiare di questa forma di retribuzione erano i soggetti più o meno marginali del mercato del lavoro, come studenti, casalinghe, pensionati e disabili, che in questo modo avrebbero usufruito di una forma di regolamentazione occupazionale per un massimo di 30 giorni all’anno, con un tetto limite di 3000 euro. Il valore dei buoni lavoro, sempre secondo la riforma Biagi, corrispondeva a 7,50 €, di cui 5,80 euro destinati direttamente al lavoratore, 1 € alla contribuzione Inps e 50 e 20 centesimi di euro da girare rispettivamente all’Inail e alla società concessionaria (la quale avrebbe registrato i dati del datore e del lavoratore, versato i contributi Inps e Inail e trattenuto a titolo rimborso spese il 5% del valore del buono).
In realtà, però, questa disciplina di rapporto occupazionale è rimasta pressoché inutilizzata nel corso degli anni, nonostante l’introduzione di alcuni correttivi iniziali. Solo nel 2008, sotto il secondo Governo Prodi, furono apportate alcune modifiche significative allo strumento, come l’aumento del valore dei buoni da 7,50 a 10 euro, o l’innalzamento del limite a 5000 € senza la previsione di vincoli temporali e imposizioni fiscali.
Ulteriori cambiamenti vennero implementati l’anno successivo, questa volta dal terzo Governo Berlusconi, in riferimento ai settori e alle attività di applicazione. Con quell’intervento, tutti i datori di lavoro e le imprese presenti nel settore dei commercio, del turismo e dei servizi avrebbero potuto usare i buoni lavoro per retribuire i soggetti impiegati ad esempio nei lavori occasionali delle manifestazioni sportive, culturali, fieristiche, caritatevoli, ma anche per lavori di pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi, monumenti, lavori di attività socio – solidale, consegna porta a porta e vendita di stampa periodica o quotidiana e per alcuni tipi di attività domestiche (prive di tutele previdenziali e assicurative).
Nel 2010 è stata invece garantita ai lavoratori autonomi e subordinati la possibilità di poter svolgere attività di lavoro occasionale e usufruire dei vouchers.
Sempre nel 2010 venne introdotta un’altra importante novità: mentre fino a quel momento i buoni potevano essere ritirati presso le sedi Inps in forma sia cartacea che telematica, da lì in poi sarebbero stati abilitati alla distribuzione anche i tabaccai. Inoltre, nel 2011 è stato attivato un quarto canale di distribuzione (le Banche Popolari), e a inizio 2012 un quinto: gli uffici postali del territorio nazionale.
Il 2012 è stato un anno cruciale. Con la riforma Fornero, infatti, sono state varate modifiche decisive per la liberalizzazione del sistema dei vouchers. Importante è stata la riduzione del compenso annuale (si è passati dai 5000 ai 2000 euro per lavoratore da parte del singolo committente) con l’eccezione del settore agricolo, ma anche la modifica della quantificazione del lavoro svolto, che è passata da una negoziazione rispetto al valore di mercato a un riferimento all’orario di lavoro. Anche i lavoratori stranieri avrebbero potuto accedere al lavoro accessorio, al fine di ottenere una qualche forma di reddito necessaria per poter ottenere il permesso di soggiorno (requisito richiesto dalla legge Bossi-Fini sull’immigrazione).
Nel 2013 il Governo Letta ha eliminato la dicitura “lavori meramente occasionali”. Nel 2015, invece, con il Jobs Act varato dall’Esecutivo Renzi è stato nuovamente innalzato il tetto massimo del valore annuale da 5000 a 7000 euro. In aggiunta, si è stabilito che i datori di lavoro possono acquistare i buoni solo per via telematica.
Dunque, l’uso dei buoni lavoro come forma di contratto “atipico” è stato molto ridotto fino al 2008 (quando è stato venduto il primo mezzo milione di vouchers), e solo a partire dal secondo decennio si è registrata un’inversione di tendenza. Nel 2011, infatti, sono stati utilizzati circa 15.000.000 buoni lavoro. Da questo periodo in poi è stato un crescendo: nel 2012 i vouchers venduti sono stati quasi 24 milioni, nel 2013 circa 40 milioni, nel 2014 69 milioni, nel 2015 115 milioni e addirittura nel 2016 circa 130 milioni [1].
Analizzando i dati Inps pubblicati nel rapporto annuale 2015 si evince come la maggior parte (oltre il 40%) di questi 115 milioni buoni lavoro siano riconducibili ad “altri settori”, e dunque non a quelli originariamente riferiti a tale strumento (attività agricola, commercio, giardinaggio e pulizia, manifestazioni sportive, servizi, turismo). Questi dati sono stati riportati da diversi studi e organi di stampa, che hanno di fatto denunciato l’abuso dei vouchers da parte dei datori di lavoro, rei di avervi fatto ricorso anche per tipologie di lavoro che non prevedono l’impiego di questa forma di pagamento. Nella tabella seguente, inoltre, sono riportate le classi d’età relative alla distribuzione, in base alle quali si può evincere che negli ultimi anni, in particolare nel 2015, i maggiori beneficiari dei vouchers sono stati i giovani fino ai 29 anni. Una forma di sfruttamento, a detta dei critici, che si aggiunge alla già precaria situazione occupazionale giovanile in Italia.
Tabella 1: Percentuale di lavoratori retribuiti con i buoni lavoro
Anno di riferimento 2015
Classe d’età | Valore assoluto | Valore percentuale |
Fino a 29 anni | 595.315 | 43,1% |
30- 44 | 411.621 | 29,8% |
45-59 | 263.032 | 19,1% |
60 e oltre | 110.062 | 8% |
Totale | 1.380.030 | 100% |
Fonte: INPS
Tuttavia, a partire dall’ottobre del 2016 il legislatore ha introdotto il cosiddetto strumento di “tracciabilità”, con l’obiettivo di monitorare e verificare il corretto utilizzo dei voucher da parte dei committenti. Questa metodologia di controllo impone al datore di comunicare preventivamente l’inizio e la fine dell’orario di lavoro con buono che il lavoratore andrà a svolgere, al fine di porre un freno all’abuso e all’irregolarità del suo uso. Effettivamente, a partire dal mese in cui è stato introdotta la tracciabilità è stata registrata una, seppur relativa, riduzione dell’utilizzo del voucher, e si è passati da circa 2 milioni di buoni lavoro venduti al mese a poco più di 1 milione a gennaio 2017.
Il Presidente dell’INPS Tito Boeri, in una nota pubblicata recentemente, ha sottolineato l’importanza della prosecuzione di questa politica ispettiva, rimarcando la necessità di dover vigilare con sempre più veemenza la tracciabilità dei buoni lavoro e l’urgenza di supportare una comunicazione preventiva, snella e rapida, in un’interconnessione costante tra committente, Inps e Ministero del Lavoro, affinché le ispezioni e gli accertamenti risultino il più rapidi e tempestivi possibili.
Per converso, l’analisi critica di questa dinamica ha portato una parte del mondo sindacale e politico a definire lo strumento dei buoni lavoro un espediente rispetto alle regolari forme di retribuzione dei lavoratori, tanto che la Cgil ha avviato una raccolta firme per indire un referendum abrogativo dello strumento. I quesiti referendari sono poi stati ammessi, lo scorso 11 gennaio, dalla Consulta, e di conseguenza la consultazione avrà luogo in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno prossimo (salvo scioglimento anticipato delle Camere, che rimanderebbe al 2018 il voto referendario, o intervento del Governo sull’attuale normativa).
Gli stessi fautori dell’utilizzo dei buoni (compreso il ministro del Lavoro Giuliano Poletti) non hanno negato l’esistenza di un problema di fondo, e hanno più volte rimarcato la necessità di regolamentare in modo più incisivo il ricorso a questo strumento per evitarne un uso improprio. Ciò nonostante, i sostenitori della revisione del sistema si sono detti contrari alla sua cancellazione, ribadendone la funzione originaria di contrasto al lavoro nero.
Resta il fatto che, oggi, il tema dei vouchers coinvolge una notevole fetta della forza lavoro del mercato occupazionale italiano.
[1] Dati INPS, Voucher dossier 2015.