Urne aperte a settembre? Non c’è solo Renzi a premere. Intanto, circolano le date del 13 e 20 maggio 2018..
Con il voto per le presidenziali francesi (ballottaggio il 7 maggio), il rinnovo del Parlamento britannico fissato a sorpresa da Theresa May per l’8 giugno e le elezioni federali tedesche previste per il 24 settembre, il 2017 è sicuramente uno degli anni più “elettorali” che l’Europa occidentale abbia conosciuto. Una simile convergenza di votazioni, tuttavia, ha fatto sì che negli ultimi giorni abbiano ripreso forza gli argomenti di chi vorrebbe anticipare al prossimo autunno il ritorno alle urne degli italiani.
In base a quanto previsto dagli articoli 60 e 61 della Costituzione, le Camere sono elette per cinque anni e le elezioni delle nuove Assemblee si devono tenere entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. Dal momento che la Legislatura in corso ha avuto inizio il 15 marzo 2013 (data della prima riunione della Camera e del Senato attuali), ciò significa che la sua scadenza naturale coincide con un periodo compreso tra la fine di marzo e la metà di maggio 2018, tanto che per andare al voto sarebbero da tempo cerchiate in rosso le date del 13 e 20 maggio.
Dunque, al momento manca ancora un anno o poco più allo svolgimento delle elezioni Politiche. Un periodo di tempo piuttosto lungo, durante il quale si succederanno eventi che metteranno alla prova il mondo politico, a partire dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene. Su tutti, basti pensare al varo della Legge di Bilancio previsto per ottobre, che già da ora appare un passaggio complicato per via delle scelte che dovranno essere compiute dall’Esecutivo per sanare la sua posizione agli occhi della Commissione Ue. Proprio l’avvicinarsi di tappe delicate per il Paese sta portando i sostenitori del voto anticipato a rilanciare la loro ipotesi, nella convinzione che sia necessario un Governo legittimato dall’investitura elettorale per prendere decisioni impegnative e far fronte a un malessere sociale che non sembra attenuarsi. In quest’ottica, è stata avanzata da più parti la proposta di portare l’Italia al voto a settembre, anche lo stesso giorno della Germania.
Uno scenario di questo tipo difficilmente troverebbe l’opposizione di Matteo Renzi, che una volta ottenuta (come appare ormai scontato) la riconferma a segretario del Partito Democratico il 30 aprile è improbabile decida di attendere dodici mesi prima di giocarsi l’opportunità di tornare a Palazzo Chigi, con il rischio che Movimento 5 Stelle e centrodestra possano, rispettivamente, rafforzarsi e riorganizzarsi. In tal senso, vanno registrate le recenti affermazioni dell’ex premier, secondo il quale se nessuna forza politica otterrà il 40% dei voti sarà inevitabile stringere accordi in Parlamento. Una posizione che, oltre che da un’indubbia ragionevolezza, potrebbe essere dettata anche dalla voglia di disinnescare lo “spauracchio” dell’instabilità legato alle elezioni anticipate.
Da parte sua, l’M5S ha chiaramente dato il via alla propria strategia elettorale con il lancio dei primi Programmi votati dagli iscritti (finora è toccato a Energia, Esteri e Lavoro) e con i primi tentativi di apertura a mondi finora distanti dal Movimento, come testimoniato dalla manifestazione “‘Sum #01 – Capire il futuro’” e dalle convergenze degli ultimi giorni con il mondo cattolico. I principali esponenti pentastellati, inoltre, dal giorno successivo al referendum costituzionale chiedono che si torni a dare la parola ai cittadini, sebbene risulti difficile capire se questa posizione corrisponda o meno a un esercizio di stile.
Anche il “polo sovranista” rappresentato da Matteo Salvini e Giorgia Meloni è ufficialmente favorevole a un anticipo delle Politiche, e non è escluso che il buon risultato di Marine Le Pen in Francia induca i due leader a sfruttare il momento per trarne il massimo beneficio elettorale. Nel campo conservatore pesano però, come già ricordato, le divergenze sulla linea politica e sulla leadership della coalizione, che se non verranno risolte (e risulta difficile che ciò possa avvenire in tempi brevi) renderanno proibitivo l’obiettivo di prevalere su Pd e M5S. Non a caso, i primi sostenitori del voto nel 2018 vanno ricercati dalle parti di Forza Italia, o tra le fila di Alternativa Popolare.
Sarà il tempo a dire se quelle finora riportate siano o meno prospettive concrete (senza dimenticare il nodo della riforma elettorale, in mancanza della quale Sergio Mattarella non appare disposto a sciogliere le Camere), ma ciò che si può sostenere fin da ora è che il Paese non ha bisogno di salti nel buio dettati da calcoli elettorali di brevissimo respiro.