Vittoria meno larga del previsto. Un’opposizione sempre più divisa. Il 4 luglio fiducia al nuovo Governo
di Mara Carro
Nessuna coabitazione, nessun hung Parliament, nessuna anatra zoppa. Dalla sua elezione lo scorso maggio, Emmanuel Macron è il dominus incontrastato della politica francese.
Il movimento del presidente, La République en Marche (LREM), e il suo alleato Mouvementdémocrate, MoDem, hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi al secondo turno delle elezioni parlamentari di ieri, almeno 350 seggi (308 per LREM, 42 per MoDem). Una vittoria annunciata che però nei numeri si è rivelata al di sotto delle stime dei sondaggi che parlavano di oltre 400 seggi.
Scongiurato il pericolo egemonico, Macron ha tuttavia la forza politica e numerica per attuare il suo programma, a partire dalla riforma del codice del lavoro questa estate. I rivali di Macron hanno esortato gli elettori a non concentrare troppo potere in un solo partito e il messaggio potrebbe aver avuto un certo impatto. In un’elezione già segnata, l’unico interrogativo era in effetti solo l’ampiezza della maggioranza di Macron.
Un’alleanza guidata dal partito conservatore Les Républicains è emersa come il più grande gruppo di opposizione, con 137 seggi rispetto ai 229 del 2012. La vittima principale del voto è il Partito Socialista, PS, del predecessore di Macron, François Hollande, che ottiene solo 29 seggi (45 in alleanza) rispetto ai 280 (341 se si considera la coalizione) del 2012. Il leader del PS, Jean-Christophe Cambadélis, così come il candidato socialista alle elezioni presidenziali di quest’anno, Benoit Hamon, erano stati eliminati al primo turno e alla chiusura delle urne, domenica, Cambadélis ha annunciato le sue dimissioni da Segretario del PS. Risultato deludente anche per il Front National della neo-eletta Marine Le Pen: sperava in almeno 15 seggi per poter costituire un gruppo parlamentare ma non va oltre gli otto. 27 seggi per il Partito comunista e La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, il leader dell’estrema sinistra eletto a Marsiglia che ha promesso “resistenza sociale” al programma di riforme di Macron.
Dei sei ministri in carica del governo di Edouard Philippe in corsa per il Parlamento, Richard Ferrand, Bruno Le Maire, Mounir Mahjoubi, Marielle de Sarnez, Christophe Castaner e Annick Girardin, tutti e sei sono stati eletti.
Al primo turno LREM aveva ottenuto il 32,6% dei voti ma alle urne era andato meno di un francese su due, il 48,7% ( 8,5 punti in meno rispetto al 2012).
Stesso copione ieri quando circa 47 milioni di elettori francesi sono stati chiamati alle urne per eleggere 573 dei 577 deputati dell’Assemblea Nazionale, la Camera bassa del Parlamento francese. In quattro collegi la vittoria era stata assegnata al primo turno. In 572 circoscrizioni, i due principali candidati del primo turno si sono affrontati per un posto in Parlamento. In quasi tutti i collegi uno dei due candidati era membro di LREM o di MoDem e solo in un unico distretto, a Aube, Francia orientale, tre candidati si sono sfidati in una cosiddetta triangulaire, un ballottaggio con tre candidati, a differenza del 2012 quando furono ben 34.
Quarto appuntamento elettorale in meno di due mesi, queste elezioni legislative completano il rinnovamento della politica francese. Centinaia di parlamentari siederanno per la prima volta alla Camera bassa del Parlamento francese e ben il 40 per cento dei legislatori sarà donna.
Se il voto di domenica segna la fine della vecchia classe politica francese, un’astensione record, superiore al 57%, pone un serio interrogativo circa la legittimità del mandato del nuovo presidente di attuare le riforme annunciate. A detta di avversari e analisti, Macron non ha ottenuto un forte mandato dagli elettori francesi e c’è una discrepanza enorme tra la forza del presidente in Parlamento e la realtà della forza di LREM nel Paese. L’alto tasso di astensione impone prudenza, ascolto e dialogo al presidente nell’attuazione del suo programma in un paese con sindacati pronti a lotte muscolari e una lunga storia di proteste di piazza che hanno costretto molti governi a brusche manovre su alcuni provvedimenti impopolari.
In realtà, se si considera il dato oggettivo, la soglia della maggioranza assoluta, 289 seggi, la maggioranza presidenziale è molto meno sconvolgente di quanto si dica. A spianare la strada a Macron sono stati i suoi stessi avversari, divisi al loro interno e indeboliti. Sarà senza dubbio difficile per gli altri partiti incarnare una potente opposizione e impedire l’adozione di un testo proposto dall’Eliseo. Tanto più che le forze all’opposizione non costituiranno un blocco omogeneo. Più che ad una maggioranza contro l’opposizione, la Francia vedrà una maggioranza sfidata da diverse opposizioni.
I parlamentari neo-eletti si riuniranno martedì 27 giugno per l’inizio ufficiale della nuova Legislatura e il 4 luglio saranno chiamati a votare la fiducia al primo ministro Philippe. Ultimo passaggio formale che garantisce a Macron il controllo sul Parlamento e corona la sua rapida scalata al sistema politico francese.