Dopo undici lunghi anni, l’esito delle elezioni politiche in Italia è stato chiaro e il popolo è tornato a investire del proprio consenso la colazione di centrodestra.
Tuttavia, il difficile viene adesso. Infatti, le sfide che attendono il nuovo governo saranno molto dure e impegnative sia a livello nazionale che internazionale ma, senza dubbio, il margine operativo di attuazione del programma economico e fiscale interno deriva in gran parte dalla capacità di tessere nuove alleanze in seno all’Unione europea.
Il futuro governo Meloni dovrebbe avviare le trattative per un piano concordato di riduzione del debito con la Commissione, che consenta al contempo di ridurre la pressione fiscale su famiglie e imprese e di impostare una politica industriale di medio-lungo periodo, ribaltando di 360° l’atteggiamento di supina accettazione dei diktat franco-tedeschi, a cui il Pd aveva abituato i partner comunitari per troppi anni.
Per fare questo, però, è indispensabile agire in una duplice direzione. Da un lato spostare gli equilibri politici nella Ue, avvicinando i popolari ai conservatori, sia per avviare una riforma in senso confederale delle istituzioni europee, che per sterilizzare le politiche ambientaliste filo cinesi, sostenute dai socialisti. Dall’altro, conseguire l’appoggio finanziario e geopolitico degli Usa, grazie alla ferma posizione antirussa tenuta in questi mesi, per tenere a bada le pericolose tentazioni di downgrading dei titoli di Stato italiani da parte delle agenzie di rating statunitensi.
Per raggiungere il primo obiettivo sarà fondamentale costruire uno stretto rapporto diplomatico con Friedrich Merz, leader della Cdu, e Manfred Weber, segretario del Partito popolare europeo, che cercano anch’essi un’alleanza atlantista tra moderati e conservatori del Vecchio continente.
Contemporaneamente, Giorgia Meloni dovrà cercare di formare alleanze a geometria variabile. Una convergenza tra Polonia, Italia, Svezia e, nel prossimo futuro, Spagna potrebbe di fatto creare un blocco di potere capace di determinare le scelte politiche dell’Ue. Tanto più se al club si dovesse unire l’Ungheria.
Un tempo c’era Visegrad, l’alleanza tra Varsavia e Budapest con Slovacchia e Repubblica ceca, che per il momento è congelata dalle divisioni tra questi Paesi sulla Russia. Ma differenza di Visegrad, il blocco inedito tra Stati del Sud, dell’Est e del Nord dell’Europa avrebbe un effetto dirompente negli equilibri politici dell’Ue. Nel maggio 2024, poi, si voterà per eleggere i deputati del Parlamento europeo, e l’Ecr, unendo il PPE con i sovranisti di Salvini e Marine Le Pen, potrebbe avere i numeri per determinare il nuovo leader della Commissione europea.
Il secondo obiettivo potrebbe essere favorito da una vittoria dei repubblicani nelle elezioni di midterm del novembre prossimo in Usa, specialmente se Mike Pompeo, già segretario di stato di Donald Trump, con cui la futura premier italiana ha ottime relazioni, si avviasse ad ottenere la nomination per le presidenziali americane del 2024.
Se tutte le tessere del piano italiano andassero a dama, l’esecutivo potrebbe addirittura proporre la creazione di un fondo di compensazione euro-atlantico a vantaggio di quelle nazioni, come la nostra, più colpite dalle sanzioni contro la Russia, e spingere da una posizione di forza a una rinegoziazione del PNRR in senso meno green e più produttivista, richiedendo l’utilizzo dei fondi europei ancora inutilizzati per risolvere strutturalmente l’emergenza energetica nazionale.
Decisiva in questo senso, sarà l’impostazione e l’avvio di una politica industriale che rimetta sotto controllo le catene di approvvigionamento strategiche per la Nazione nel comparto agroalimentare, in quello industriale e nella rete infrastrutturale e di comunicazione digitale, per renderci meno dipendenti dalle importazioni estere e fare della Penisola un hub nel Mediterraneo, che possa trasformarsi in un volano di sviluppo dell’economia blu.
Un ultimo obiettivo, sicuramente il più difficile da perseguire, sta nel provare a riscrivere il Patto di stabilità e crescita creando un fronte comune con la Francia e con la Spagna, tradizionalmente favorevoli ad un allentamento delle politiche di austerità di ispirazione tedesca. Convincere Parigi che in prospettiva i vantaggi derivanti da una rivisitazione del Trattato di Maastricht più attenta allo sviluppo economico che alle ferree politiche di bilancio, potrebbero essere superiori rispetto al continuum dell’asse privilegiato di potere con Berlino, sarebbe un vero capolavoro diplomatico.