Se conoscete qualcuno che negli ultimi tempi ha lasciato il lavoro, sappiate che non si tratta di un caso isolato ma di un fenomeno molto ampio e con delle ragioni ben ponderate alla base.
Le grandi dimissioni sono un argomento che sta letteralmente catturando l’attenzione di molte persone, ora il posto fisso non è più qualcosa di esclusivamente positivo ed intoccabile. Basti pensare che molte lavoratrici e lavoratori lasciano il proprio lavoro senza avere un “piano B” pronto, per cercare un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata.
Lo scopo di questo articolo non è quello di fare la paternale o di additare i giovani come poco motivati, come purtroppo è successo in passato, ma piuttosto descrivere uno spaccato che riguarda l’Italia, l’Europa, il mondo.
La scelta di una manovra così drastica, ovviamente non è riconducibile all’impulsività, ma alla voglia di vivere una vita più piena, rilevante e significativa. Il periodo storico che abbiamo vissuto e stiamo vivendo ha portato a ridefinire la quotidianità, rivedendo le priorità e muovendosi di conseguenza.
Le “grandi dimissioni” è il nome che è stato dato a questo fenomeno, che sta cambiando le regole del mercato del lavoro. Questa reazione, come risposta all’effetto pandemia ed alla guerra in Ucraina, ma non soltanto, negli ultimi anni ci ha mostrato che niente dura per sempre, neppure il posto fisso tanto invocato in passato, che basta davvero un solo evento per stravolgere e ridefinire un’esistenza intera: un virus ci ha costretti a prendere le distanze tra le persone, ma anche dalla vita che esisteva prima.
Ci si chiede quindi: a cosa serve lavorare molte ore al giorno ed arricchirsi, quando improvvisamente potresti finire ricoverato in ospedale? A che serve lavorare la maggior parte del tempo, se poi non si ha il tempo per godersi la vita? Gli accadimenti bellici ci suggeriscono che qualcuno distante migliaia di km da te, potrebbe radere al suolo la tua città, nel giro di poche ore. Interrogativi come questi, portano inevitabilmente ad un cambio di prospettiva rispetto alla vita, al lavoro ed alle scelte inerenti.
Un errore che non bisogna commettere è quello di pensare che questa tendenza, sia un fenomeno che riguarda solo i Millennials. Anche persone lavorativamente affermate, seppur in percentuale minore, nate e cresciute in un ambiente che prestava grande attenzione al posto fisso, ora scelgono di lasciare le città per un ambiente meno stressante, di lasciare lavori mentalmente troppo usuranti e di ricongiungersi con quella parte del proprio essere che si credeva perduta.
Queste condizioni, ovviamente, si ripercuotono nel mondo del lavoro che risulta essere in gran fermento, con contratti più dinamici, che possono durare per un tempo più breve, anche se molti lasciano il lavoro senza avere un piano ben preciso da attuare. In tanti hanno già iniziato a ridefinire le priorità lavorative, delineando di fatto, quello che sarà il mercato del lavoro del domani, più simile a quello americano, con più opportunità ma anche meno certezze, indice un cambiamento culturale già in corso.
Oltre che sollecitare una riflessione sul fenomeno, è bene non dimenticare l’altra faccia della medaglia, cioè tutte quelle persone per cui il lavoro rappresenta la sola ancora di salvezza in un mondo sempre più costoso e dinamico e quindi la sola scelta possibile. O quei giovani lavoratori e quelle giovani lavoratrici in condizioni precarie, purtroppo vittime di un sistema che non promette tutele reali ed adeguate.
Il lavoro nobilita certo, ma quando è adatto e vissuto in modo giusto.