La partita per le elezioni politiche è apertissima. Le strategie di Berlusconi e Renzi. Le paure dei piccoli partiti e delle correnti interne
Lo scrutatore non votante*
Questa settimana ha visto la fine dei lavori d’aula e la chiusura per ferie di Camera e Senato. I parlamentari sono andati via da Roma alla ricerca di un posto al sole. Ma non mi riferisco alle località balneari bensì al tanto agognato posto in lista in vista delle prossime politiche.
Si tratta di una partita resa ancor più complicata dalla mancanza di chiarezza sulla prossima legge elettorale e dalla difficoltà di individuare l’interlocutore che possa dare effettive garanzie. Fino alla scorsa legislatura ad esempio la gestione delle candidature del Popolo della Libertà, oggi ritornato ad essere Forza Italia, era demandata all’ineffabile Denis Verdini. Certo non sempre la sua parola rappresentava una sicurezza, come ha avuto modo di sperimentare Nicola Cosentino entrato papa a Palazzo Grazioli ed uscito neanche cardinale. Oggi gli azzurri sono privi di un punto di riferimento che possa creare loro un canale, con il Cavaliere che sembra quasi rinchiuso in una torre eburnea vigilata dalle sue improbabili vestali. Sebbene negli ultimi giorni della questione alleanze e quindi candidature sia stato investito Nicolò Ghedini con la super visione di un redivivo Gianni Letta. Sono loro che avrebbero intavolato un dialogo anche con Angelino Alfano il cui ritorno sembra essere ostacolato però da un forte malcontento dell’elettorato che farebbe perdere più che guadagnare punti percentuali. I parlamentari di Forza Italia vagano quindi nell’incertezza, con gli ex Alleanza Nazionale consapevoli di una loro ulteriore riduzione fatta eccezione per il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri, e i fedelissimi di una vita preoccupati di essere rimpiazzati da un casting di volti nuovi.
Il Cavaliere non ha ancora deciso la sua strategia. Se rinunciare a vincere e quindi predisporre una sorta di sua guardia d’onore da far convergere su alleanze post elettorali di carattere istituzionale, oppure tentare di vincere inserendo così nelle liste testimonial che possano dargli anche un valore aggiunto.
Per quanto riguarda i piccoli partiti molto dipenderà dalla soglia di sbarramento che verrà inserita. Lo spauracchio del 5% viene ancora agitato. Nella galassia del centrodestra, a parte la Lega che non dovrebbe avere problemi, la compagine di Giorgia Meloni sta infatti riflettendo se stipulare accordi regionali con movimenti quali quello di Fitto, che in fondo è limitato alla Puglia, o con il movimento Diventerà Bellissima di Nello Musumeci in Sicilia.
Nel Partito Democratico Matteo Renzi è stato fin troppo chiaro, non farà prigioneri. Probabilmente non gli importa vincere ma soltanto azzerare i gruppi parlamentari per non avere problemi la prossima legislatura che lui considera di breve durata. Con Maria Elena Boschi e Lorenzo Guerini a fare un primo filtro delle candidature per passare la scelta finale al Segretario. Renzi ama controllare tutto e sul suo tavolo è presente il dossier su come hanno votato le numerose fiducie tutti i parlamentari non solo del Partito Democratico ma di tutta la maggioranza. Anche questo sarà un metodo di selezione, soprattutto per chi come qualche centrista vorrà trovare rifugio presso la casa democratica.
La palla passa quindi alle altre componenti di minoranza del Partito Democratico. Tentare un accordo vecchio stile sulle percentuali delle candidature, oppure consapevoli del carattere poco incline ai caminetti di Matteo Renzi studiare una exit strategy verso un Ulivo 4.0? La scelta non è da poco e potrebbe incidere anche sull’atteggiamento da tenere sulla legge elettorale soprattutto al Senato dove i numeri sono più risicati. Perchè non escludere una sponda a Silvio Berlusconi per inserire il premio alla coalizione?
Fantapolitica? Si certo ma siamo ad agosto.
*Con questo nome scrive un noto personaggio politico che preferisce mantenere l’anonimato