Il velo del silenzio su quella parte di storia calò con la legge che istituì il Giorno del ricordo il 10 febbraio, di quella legge l’autore del libro Roberto Menia, ne fu uno dei padri. Questo libro non vuol essere un saggio storico, ma la testimonianza di una tragedia della storia nazionale.
Una raccolta di storie non vissute dall’autore, ma apprese dalla famiglia, dagli studi dalla lettura, incontrando uomini e donne che hanno voluto conservare e mantenere viva la memoria della terra. Il perché di una seconda edizione , l’autore la spiega con dieci nuovi capitoli – l’idea nasce durante le celebrazioni dei 700 anni della morte di Dante Alighieri. Il sommo poeta fu sempre fonte di ispirazione per gli italiani dell’ Istria e Dalmazia, i bambini della Venezia Giulia imparavano da sempre a cantare “ Viva Dante gran maestro de l’italica favella”.
Nella prefazione troviamo un racconto molto interessante, una storia di cento anni, è il pellegrinaggio che si faceva a Ravenna per accendere una fiamma sulla tomba del sommo poeta, nel 1908 furono i cittadini dell’adriatico orientale, a compiere il rito.
Per l’occasione fu realizzata un’ampolla dallo scultore triestino Giovanni Mayer, le stele del sostegno erano di marmo delle Alpe Giulie, impreziosite dall’alabastro di Pola, mentre Fiume donò la ghirlanda col suo stemma civico con intorno figure femminili recanti gli stemmi di Trieste, Gorizia, Trento, Istria e Dalmazia.
Ottocento pellegrini giunsero a Ravenna portando l’ampolla e l’olio istriano, la fiamma fu accesa con un fiammifero (della Lega nazionale), del giornalista Riccardo Zampieri ( triestino) dopo l’accensione il fiammifero fu lasciato cadere a terra, e si racconta che a raccoglierlo fu un marinaio; l’istriano Nazario Sauro, colui che fece giurare ai figli sul punto di morte, di essere “ sempre ovunque prima italiani”, quel giuramento si è trasmesso di generazione in generazione.
La tragedia delle foibe e dell’esodo non sono solo corpi sanguinanti, vite spezzate, ha distrutto un terreno sociale.
Quelli che negano il giorno del ricordo, nonostante il parlamento europeo ha approvato una mozione che equipara nazismo e comunismo dandoci una regola storica, dovrebbero delle scuse e rispetto a quei morti senza croce, a chi ha pagato senza colpe. Ci pensi chi nega perché con la giornata del ricordo, tanti italiani riscoprono l’identità, storia e cultura di verità negate per decenni.
Lo dobbiamo alla memoria di chi lasciando le proprie case ha perso la vita, come la piccola “Marinella” una piccola vita, non aveva neanche compiuto un anno, arrivò nel campo con la sua famiglia, voce della storia è sua sorella Fiore, gli venne assegnata una baracca di legno , con due finestre 4 letti un tavolo e poco sedie, senza riscaldamenti i primi giorni furono costretti a dormire vestiti. Fu proprio il freddo ad uccidere la piccola una broncopolmonite, era l’8 febbraio del 1956.
La vita nei campi era scandita da tempi e orari, recintati da una rete che si alzava la sera alle 23, in tanti se ne sono andati guardando l’orizzonte senza altro vedere che la propria disperazione, tanti impazzirono, tanti si lasciarono morire, tanti si suicidarono .
Racconti e testimonianze che non si possono perdere, storie di eroismo e di sofferenza, alcune conosciute altre stavano nascoste e riaffiorano grazie agli ultimi testimoni.
Un grande inno di italianità e libertà.