Fra i tanti nodi sul tavolo del neoministro della Giustizia, Marta Cartabia, ve ne è uno sul quale riteniamo utile porre l’attenzione, anche perché si tratta di un tema sul quale inspiegabilmente è calato il silenzio. Quello che vorremmo riaprire a viale Arenula è il cassetto del disegno di legge costituzionale, concernente l’inserimento nell’articolo 111 della Costituzione di princìpi in materia di funzione e ruolo dell’avvocato.
E’ opinione di chi scrive che senza portare sullo stesso piano l’avvocatura e la magistratura, qualsiasi riforma di qualsiasi processo, non otterrà mai una vera funzionalità in linea con i tempi, oramai maturi per tale riforma, l’unica davvero innovativa in termini di civiltà giuridica e di effettività delle modifiche, perchè se non si parte ponendo sullo stesso piano costituzionale – e dunque di garanzia – le parti del processo, quella che deve difendere e quella che deve decidere o accusare, qualsiasi riforma sarà sempre destinata a non produrre gli effetti voluti.
Sono note le proposte avanzate da tempo dal Consiglio Nazionale Forense e riprese da associazioni rappresentative, fra cui anche quella di Unaep (Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici), sul rafforzamento del ruolo dell’avvocato in Costituzione, da attuarsi mediante una modifica o dell’art. 111 o dell’art. 24, in cui inserire la libertà e l’autonomia del professionista e la necessità della difesa tecnica, da rendere paritetiche all’autonomia e libertà del giudice.
In ciò l’Italia – benché culla del diritto – sconta un ritardo notevolissimo sulla protezione dei tutori della legalità e della difesa, sia con riguardo agli altri Paesi europei, sia con riguardo a Paesi extraeuropei. Si pensi alla Tunisia, la cui Costituzione prevede all’art. 105 che “La professione di avvocato è libera e indipendente. Essa contribuisce alla realizzazione della giustizia e alla difesa dei diritti e delle libertà” (comma 1) e che “L’avvocato beneficia delle garanzie di legge che ne assicurano la protezione e gli consentono di esercitare le sue funzioni”.
Se a ciò si aggiunge che non si tratterebbe di previsione ex novo quella dell’avvocato in Costituzione, dal momento che la pregnanza dell’attività esercitata dall’avvocato è già riconosciuta con riguardo alla composizione di alcuni organi costituzionali e di rilievo costituzionale, l’assenza di menzione del ruolo nell’ambito del diritto di difesa in giudizio appare quanto mai desueta e tanto più urgente.
Con riguardo al tema in oggetto, l’organo rappresentativo dell’avvocatura ha posto l’accento sull’inserimento di “previsioni concernenti strettamente l’avvocatura”, proponendo l’inserimento in Costituzione di uno o più commi all’art. 111 che preveda/prevedano che “nel processo le parti sono assistite da uno o più avvocati” e circoscriva/circoscrivano a casi straordinari e limitati (“tassativamente previsti dalla legge”), la possibilità di prescindere dall’assistenza dell’avvocato, se ciò non pregiudichi “l’effettività della tutela giurisdizionale”.
Il punto focale sta nella specificazione delle modalità d’esercizio della professione, che deve essere necessariamente svolta “in posizione di libertà e di indipendenza, nel rispetto delle norme di deontologia forense”. Le proposte del CNF sono, in definitiva, dirette a riconoscere e rafforzare il ruolo pubblicistico svolto dell’avvocatura, nel rispetto, tuttavia, della “natura libera della professione forense”.
Per “natura libera della professione forense” deve ovviamente intendersi la libertà intellettuale dell’avvocato, diretta e funzionale ad assicurare, in posizione di indipendenza dai pubblici poteri, l’effettività del diritto di difesa della persona privata o pubblica e l’interesse alla corretta amministrazione della giustizia.
Questa della posizione di “indipendenza dai pubblici poteri” finalizzata a garantire l’effettività del diritto di difesa e il corretto andamento della giustizia, si connette strettamente all’autonomia, all’assenza di conflitti di interesse, al segreto professionale, tutti valori fondamentali nelle professioni legali che rappresentano posizioni di pubblico interesse, e come tali protetti e tutelati in ambito sovranazionale (art. 6 Convenzione EDU, Carta di Nizza, Corte di Giustizia UE, ecc.), prima ancora che dalla legge forense.
Ma si collega altrettanto strettamente alla (già tutelata) terzietà del giudice, poiché tale valore è garantito solo se sussiste anche l’autonomia dell’avvocato, affinché la parità di tutte le parti nel processo sia attuata, mediante un esplicito riconoscimento costituzionale del ruolo dell’avvocatura, essendosi rivelati deboli i riferimenti impliciti di cui all’art. 24 e le previsioni di composizione degli organi costituzionali.
Su questo percorso consiglierei al ministro Cartabia di essere coraggiosa e di partire da questa tessera mancante del mosaico “giustizia”, se vuole riformare in senso reale ed utile un settore nevralgico e sofferente come questo, affinché l’“effettività della tutela dei diritti” e l’“inviolabilità del diritto di difesa”, procedano inscindibilmente accanto alla “posizione” di “libertà, autonomia e indipendenza” nella quale l’avvocato “esercita la propria attività professionale” e il giudice “amministra la giustizia”, in posizione di “parità tra le parti” nel processo.
D’altra parte, il Ministro ha già dichiarato di voler partire dall’esame dei disegni di legge delega già in stato di istruttoria avanzata, e sul punto rammento al ministro Cartabia che in Senato vi è in iter il DDL 1169 del 4 aprile 2019 dell’attuale legislatura, sulla modifica all’articolo 111 della Costituzione recante l’introduzione di princìpi inerenti la funzione e il ruolo dell’avvocato.
Sono due brevi commi in cui si precisa ciò che è scontato per i più: nel processo le parti sono assistite dall’avvocato che ha una funzione fondante qualsiasi riforma della giustizia: garantire l’effettività della tutela dei diritti e il diritto inviolabile alla difesa in posizione di libertà, autonomia e indipendenza.
Senza queste poche parole la stessa legge professionale forense, che si rammenta è legge speciale, “anzi eccezionale”, come stabilito dalla Consulta, rimane una affermazione di mero principio, laddove sancisce la disciplina della professione di avvocato “nel rispetto dei principi costituzionali, della normativa comunitaria e dei trattati internazionali”, consistente nella “specificità della funzione difensiva e in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta”.
Partire dalla parificazione costituzionale vuol dire tutelare l’interesse generale a che la giustizia funzioni: è un valore di civiltà giuridica. E’ un valore per l’intera collettività. Diversamente continuiamo solo a modificare parole nei codici processuali, la cui sostanza è destinata all’insuccesso, poiché appoggerebbe su una sola gamba, la magistratura, l’intero peso dell’architrave riformatoria.