Google spinge ancora sull’innovazione e lancia la città del futuro: vivibilità, riduzione dei costi e aumento della sicurezza stradale gli obiettivi dichiarati. Ma nessuna parola sul rischio privacy
di Alessandro Alongi
Si chiamerà Quayside e si preannuncia già rivoluzionaria. Tutto è pronto per la costruzione della prima città intelligente e completamente automatizzata, gestita dagli algoritmi che regoleranno il traffico, consentiranno di risparmiare energia, ridurranno l’inquinamento e avvertiranno quando è ora di svuotare i bidoni della spazzatura. In una parola: il futuro firmato Google, che su questo progetto ha messo sul piatto 50 milioni di dollari. Per iniziare.
Il primo quartiere governato interamente da Internet nascerà a Toronto, in una vecchia area industriale dismessa. 300 ettari sono pronti per ospitare le innovazioni offerte dal know-how tecnologico del famigerato motore di ricerca, intraprendendo di fatto la più grande sperimentazione mai avviata su tale tema.
Elettrodomestici che comunicano tra loro, contatori elettrici che in autonomia decidono a quale fornitore è più conveniente rivolgersi in un dato momento, auto iperconesse che trasmettono le condizioni del veicolo al telefono del proprietario, SIM sempre più «embedded», presenti in tutti gli oggetti che ci circondano. Fino a poco tempo fa sarebbe stato uno scenario da film di fantascienza, mentre grazie ai massicci investimenti del gigante di Mountain View tutto ciò sta diventando cronaca.
Grazie alla comunicazione di milioni di sensori disseminati in ogni angolo di Google city tutti gli abitanti saranno costantemente osservati per offrire loro tutto il potenziale dell’innovazione tecnologica, un vero e proprio «abito su misura» grazie a chip, antennine e big data: semafori che si regoleranno automaticamente percependo la presenza di auto e pedoni, edifici che si oscureranno in presenza di forti giornate di sole, così da donare refrigerio ai propri inquilini, robot chiamati a svuotare i bidoni della spazzatura tramite una serie di tunnel sotterranei nei quali transiteranno i rifiuti, «risucchiati» da vortici d’aria debitamente comandati da sensori che intuiranno la raggiunta capienza del contenitore. E ancora: strade riscaldate capaci di sciogliere la neve, torri e abitazioni in legno volti al risparmio energetico, illuminazione stradale a LED, auto a guida automatica.
Obiettivo dichiarato da Google la creazione di un contesto urbano incentrato sulle persone con una tecnologia all’avanguardia, così da raggiungere nuovi standard di sostenibilità, accessibilità, mobilità e opportunità economiche. Toronto il fulcro mondiale dell’innovazione urbana, quindi, ma il risvolto della medaglia è inquietante.
I punti di criticità sono evidenti. Questo nuovo «ecosistema digitale» imporrà un massiccio uso di dati personali: gli spostamenti dei cittadini dovranno essere costantemente registrati, preferenze, usi e abitudini degli abitanti saranno incessantemente scambiati dai vari dispositivi di controllo e immagazzinati all’interno di un «cervellone», targato Google, formalmente per il buon funzionamento della città. Ma i rischi sono dietro l’angolo. L’imponente mole di informazioni e dati sensibili rappresenterà una merce ambitissima per tutti i servizi offerti dal motore di ricerca, che potrebbe facilmente usarli per ulteriori fini, e non soltanto per gestire il centro abitato. Ed è altrettanto evidente il rischio legato al rifiuto di autorizzare l’uso al trattamento dei propri dati, pena l’impossibilità di «risiedere» nella città digitale, una «discriminazione 2.0» pagata a caro prezzo da chi vuole tutelare la propria sfera di riservatezza.
Prima di benedire il progetto anche le autorità canadesi hanno mostrato qualche perplessità, successivamente superate dalla prospettiva dei vantaggi dell’opera. I dubbi rimangono e confermano come qualunque percorso di innovazione viva anche forti criticità, sempre in bilico tra la ricerca del miglior compromesso possibile.