Sanzione record della Commissione europea al gigante di Internet, accusato di violare la normativa antitrust. Nel mirino anche Apple e Facebook
di Alessandro Alongi
Nello stesso istante in cui Bloomberg incorona Jeff Bezos come l’uomo più ricco del mondo grazie al successo planetario di Amazon, dopo due anni di indagini serrate la Commissione europea ha presentato il conto ad un altro gigante di Internet: Google. L’atto di accusa, a firma della Commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, è molto pesante: il colosso di Mountain View ha violato le norme antitrust creando una posizione dominante nei motori di ricerca grazie al sistema operativo Android (istallato su più di ¾ degli smartphone europei), vera testa di ariete utilizzata dal big di Internet per affermare il proprio strapotere. La sanzione inflitta è di 4,3 miliardi di euro, la più alta mai comminata dall’arbitro europeo della concorrenza. Davanti a tale decisionismo sono tanti, adesso, i player di Internet che iniziano a tremare.
Diversi i profili contestati dalla Commissione UE. Leggendo il lungo j’accuse si scopre come Google imponesse ai produttori di dispositivi mobili di preinstallare le applicazioni Google Search e Chrome come condizione indispensabile per la concessione della licenza relativa a Play Store, l’App di Google per mezzo della quale è possibile acquistare tutte le altre applicazioni. Durante l’istruttoria, ancora, è emerso come Google abbia pagato alcuni grandi produttori e operatori di dispositivi mobili affinché preinstallassero a titolo esclusivo l’applicazione Google Search sui loro dispositivi, eliminando di fatto ogni possibile forma di concorrenza. Infine, secondo gli uomini di Bruxelles, il famoso portale ha impedito ai produttori che desideravano preinstallare le applicazioni Google di vendere altri dispositivi con versioni di Android non approvate da Google (le c.d. «Android forks»).
Non è la prima volta che la società fondata da Larry Page e Sergey Brin viene sanzionata dalle autorità di Bruxelles: appena lo scorso anno la Commissione ha inflitto a Google una multa di 2,42 miliardi di euro per aver abusato della posizione dominante del proprio motore di ricerca, concedendo un vantaggio illegale al proprio servizio di acquisto comparativo rispetto a quello dei competitor (c.d. «Google shopping»). L’anno prima, invece, gli uomini dell DG Competition dell’UE hanno concluso un procedimento preliminare di contestazione evidenziando il chiaro abuso di posizione dominante relativamente al servizio «AdSense», il servizio di banner pubblicitari offerto da Google, grazie al quale è possibile pubblicare annunci pubblicitari sul proprio sito web e guadagnare in base al numero di esposizioni dell’annuncio pubblicitario o click sugli annunci.
Non solo successi e innovazioni virtuali, dunque, ma anche illeciti reali, da perseguire e punire. Soddisfatto il commento del capo della concorrenza Margrethe Vestager «L’Internet mobile, che costituisce oggi più della metà del traffico Internet globale, ha cambiato la vita di milioni di europei. Agendo in tal modo, Google ha utilizzato Android come strumento per consolidare la posizione dominante del proprio motore di ricerca. Tali pratiche hanno negato ai concorrenti la possibilità di innovare e di competere in base ai propri meriti ed hanno negato ai consumatori europei i vantaggi di una concorrenza effettiva nell’importante comparto dei dispositivi mobili».
Una decisione che però non trova tutti d’accordo. I detrattori di tale politica accusano la Commissione di concentrare tutte le sue attenzioni sulle aziende della Silicon Valley, così da proteggere le imprese europee e limitare proprio la competizione, accuse subito rispedite al mittente dalla stessa Commissaria Vestager che ha ribadito come le indagini della Commissione non vogliono prendere di mira le aziende statunitensi ma rispettare semplicemente le norme europee in tema di concorrenza.
Il pugno di ferro della Commissione ha creato un certo scompiglio all’interno dei big di Internet. Apple si dice molto preoccupata dall’ordine imposto da Bruxelles di versare 13 miliardi di euro in tasse non pagate per i suoi affari sviluppati sul suolo europeo (con il beneplacito del governo irlandese) e Facebook è stata costretta a pagare una sanzione di 110 milioni di euro per aver fornito fuorvianti informazioni nel momento dell’acquisto di Whatsapp, affare poi concluso per 19 miliardi di dollari.
Tutti annunciano ricorsi, sperando forse di trovare un giudice a Bruxelles.