Il premier a Palazzo Madama non ha dato risposte su attuazione e coperture di flat tax e reddito di cittadinanza. Permanenza nell’euro ribadita solo nella replica. Pressoché assente l’energia
Malgrado i suoi circa 70 minuti di durata, il discorso con cui stamattina Giuseppe Conte ha illustrato il programma del suo Governo all’Aula del Senato non ha dato risposte ai principali punti interrogativi legati alla nascita dell’Esecutivo ‘del cambiamento’, ricalcando nella gran parte dei casi quanto previsto dal Contratto sottoscritto da Movimento 5 Stelle e Lega.
Il Presidente del Consiglio, alla sua prima prova parlamentare, ha tentato com’era prevedibile di smentire quanti lo reputano un mero esecutore dell’accordo raggiunto da Matteo Salvini e Luigi Di Maio, puntando al tempo stesso a non tralasciare nessuno dei temi di bandiera di pentastellati e Carroccio (taglio ai costi della politica e conflitto d’interesse da un lato, immigrazione e legittima difesa dall’altro). Nel complesso, il risultato è stato quello di un’esposizione efficace in alcuni frangenti, ma segnata da ambiguità e astrattezza su una serie di aspetti cruciali che segneranno senza dubbio i primi mesi di vita del Governo.
In primo luogo, rimangono ignoti i tempi e le modalità con cui verrà data attuazione all’agenda economica annunciata da Conte: reddito e pensione di cittadinanza, flat tax e riduzione del debito pubblico da conseguire con più crescita. Da più parti sono state sollevate perplessità sulle coperture di un simile programma (l’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli ha stimato tra 108 e 125 miliardi di euro il mix di maggiori spese e minori entrate determinato dal Contratto), e l’appuntamento odierno era per Conte una grande occasione per fare chiarezza, mettendo fine agli annunci dei due partiti che lo hanno indicato per Palazzo Chigi.
Tuttavia, sul punto il neo premier non ha fornito numeri di alcun tipo né ha indicato una singola data dalla quale si possa desumere, ad esempio, se le aliquote Irpef al 15% e 20% saranno in vigore per le famiglie già nel 2019, oppure la durata della fase di riassetto dei centri per l’impiego che precederà l’erogazione del contributo da 780 euro mensili in favore dei senza lavoro. Inoltre, il capo dell’Esecutivo non ha escluso che quei provvedimenti possano essere finanziati in deficit e, soprattutto, in prima battuta non si è pronunciato sul tema che il 27 maggio lo aveva portato a rimettere l’incarico affidatogli da Mattarella: l’esistenza di ‘piani B’ per l’uscita dell’Italia dall’eurozona. Solo nella replica pomeridiana, sollecitato dagli interventi dei senatori di opposizione, ha affermato che l’abbandono della moneta unica non è in discussione poiché non previsto dal patto legastellato.
Proprio i rapporti del Paese con l’Unione europea e la sua collocazione nello scacchiere internazionale costituivano l’altra incognita del nuovo Governo M5S-Lega, e anche in questo caso le attese sono andate deluse. Difatti, dopo aver affermato che “l’Europa è la nostra casa” e aver confermato il rapporto privilegiato con gli Stati Uniti nel quadro della Nato, Giuseppe Conte nel primo caso ha tracciato il vago proposito di “rivendicare un’Europa più forte e anche più equa”, mentre nel secondo ha dato prova di un autentico equilibrismo dialettico, promettendo aperture alla Russia e revisioni alle sanzioni imposte a Vladimir Putin nel 2014.
Al cospetto di un intervento così esteso come quello odierno, attirano quasi più l’attenzione i capitoli che non hanno trovato spazio nelle linee programmatiche del Presidente del Consiglio. In questo senso, non si può non rimarcare l’assenza di parole come “scuola” e “cultura”, nonché il ruolo secondario riservato all’energia, rintracciabile solo nel breve passaggio in cui Conte ha fatto riferimento allo sviluppo dell’economia circolare e all’accelerazione della decarbonizzazione del sistema produttivo; solo a titolo di esempio, dall’intervento di Conte a Palazzo Madama non è possibile dedurre cosa ne sarà della Strategia Energetica Nazionale varata dagli ex ministri Carlo Calenda e Gian Luca Galletti.
Dunque, sarà solo il corso degli eventi a dire quali saranno le strategie dell’Esecutivo e come si svilupperà la dialettica tra premier, ministri (in tal senso, avranno un valore rilevante eventuali prese di posizione del titolare dell’Economia Giovanni Tria) e partiti di maggioranza. A oggi la navigazione della cosiddetta Terza Repubblica parte avvolta nella nebbia, e appare davvero difficile immaginare dove condurrà il Paese.