Il segretario della Lega ha egemonizzato il dibattito sul Contratto, trovandosi sempre in condizione ‘win win’. Esperienza politica, identità definita e incertezze altrui hanno favorito il Carroccio
In attesa di scoprire quando Giuseppe Conte scioglierà la riserva con cui ha accettato l’incarico affidatogli da Sergio Mattarella (le ultime indiscrezioni parlano di un giuramento del nuovo Governo nel weekend), già da ora non si può fare a meno di notare come sia Matteo Salvini ad aver finora egemonizzato la trattativa sul nascente Esecutivo M5S-Lega, trovandosi costantemente in una condizione negoziale win-win.
Il segretario del Carroccio, tanto per effetto della chiarezza della sua strategia quanto sfruttando errori e incertezze altrui, è infatti riuscito sin qui a trasformare in un punto di forza l’inferiorità numerica dei parlamentari leghisti rispetto ai colleghi pentastellati, già in partenza compensata dalla loro maggior esperienza politico-amministrativa. Per il momento, non è eccessivo affermare che per una serie di ragioni Salvini esce più rafforzato di Luigi Di Maio dal processo che, a meno di colpi di scena, porterà alla nascita della prima squadra ministeriale non riconducibile né alle coalizioni della Seconda Repubblica né alle principali famiglie europee (socialdemocratica, cristiano-popolare e liberaldemocratica).
In prima istanza, il leader della Lega ha approfittato della trasversalità del Movimento 5 Stelle per indirizzare il dibattito sui temi fondamentali per il suo partito: rapporto con l’Ue, tasse e immigrazione. Avere parole d’ordine precise su un nucleo limitato di argomenti molto sentiti dai cittadini ha fatto la differenza nella gestione del racconto delle ultime settimane, a fronte di un alleato-avversario che per conquistare più voti possibili il 4 marzo e arrivare a Palazzo Chigi ha modificato più volte i propri toni su questioni cruciali del nostro tempo. In questo senso, le proposte di dialogo indirizzate, nel mese di aprile, tanto alla Lega quanto al Partito Democratico confermano come l’identità politica dell’M5S sconti un’ambiguità di fondo tuttora non risolta.
Inoltre, aver rinunciato alla candidatura a Presidente del Consiglio, lasciando a Di Maio la scelta di un nome terzo da indicare al Quirinale, ha permesso a Salvini di poter rivendicare un alto numero di Ministeri chiave. Non va infatti dimenticato che l’articolo 95 della Costituzione definisce sì il premier come il “responsabile della politica generale” dell’Esecutivo, ma gli assegna tuttavia un ruolo di primus inter pares nel Consiglio dei Ministri; dunque, anche in caso di ritorno alle urne in tempi brevi per il segretario leghista è chiaramente più vantaggioso sedere al Viminale (conducendo una campagna a tamburo battente sul fronte della sicurezza) che non a Palazzo Chigi, i cui eventuali errori potrà attribuire ad altri. La ripartizione finale delle cariche dirà fino a che punto la tattica dell’ex europarlamentare sarà stata efficace, ma non sarebbe sorprendente se la mancata nomina di Paolo Savona al Mef venisse compensata con più riconoscimenti per la Lega.
A queste considerazioni va poi aggiunto che Matteo Salvini può e potrà fare affidamento su un ‘forno’ alternativo all’asse con i pentastellati: quello del centrodestra, che a dispetto delle schermaglie dialettiche con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni è tutt’altro che tramontato. Forza Italia e Fratelli d’Italia non voteranno la fiducia al Governo Conte, ma hanno garantito che la loro sarà un’opposizione non pregiudiziale e che i provvedimenti ispirati al programma della coalizione più votata alle Politiche (su tutti la flat tax) conteranno sul loro pieno sostegno. Ciò permetterà alla Lega di fare affidamento su una garanzia rilevante quando sarà il momento di decidere a quale misura del Contratto dare la priorità o di scegliere l’atteggiamento da tenere di fronte a un avvenimento non previsto dall’accordo, e le garantisce inoltre un’uscita di sicurezza in caso di fine della collaborazione con il Movimento, tanto più che i sondaggi indicano all’unanimità una crescita esponenziale della formazione.
Come si accennava in precedenza, la posizione di forza in cui si trova il segretario del Carroccio è stata agevolata anche dalla piena disponibilità che il Quirinale ha mostrato verso i partiti in questi 80 giorni. C’è stato un momento, infatti, in cui la volontà del Capo dello Stato di essere “arbitro imparziale” (definizione più volte usata da Mattarella in persona) e garante rigoroso della Carta lo ha portato a rinunciare in parte al ruolo di dominus della crisi: la sera di lunedì 7 maggio, quando, dopo aver invitato i partiti a scegliere tra permettere la nascita di un Esecutivo neutrale e tornare al voto a luglio o in autunno, il Presidente della Repubblica non ha convocato per l’indomani la personalità da egli individuata per prendere il posto di Paolo Gentiloni. Dopo quella decisione, Lega e M5S hanno rimosso in poche ore gli ostacoli che non erano riusciti a superare in due mesi, e una volta partito il treno del “Governo del cambiamento” al Colle non è rimasto che agire di rimessa. Si vedrà se sulla scelta di alcuni ministri chiave (Economia, Esteri, Difesa e Giustizia) Sergio Mattarella farà valere, come ribadito nella nota ufficiosa di ieri, le proprie prerogative.
In definitiva, Salvini arriva alla partenza della cosiddetta Terza Repubblica nelle migliori condizioni possibili e senza l’ansia da prestazione che sembra aver preso Di Maio e i dirigenti grillini. Per la piega che hanno preso gli eventi interni e internazionali, a oggi il leader leghista ha molto da guadagnare e poco da perdere dall’imminente partenza dell’Esecutivo.