Malgrado lo scenario delle ultime settimane, il Conte II può iniziare a pensare alla verifica di gennaio. Ma le divisioni tra alleati-avversari rimangono sul tappeto, e tanto le incognite politiche quanto le difficoltà sul piano economico metteranno da subito a dura prova la maggioranza
A dispetto dello scenario di crisi di fatto che si respira da alcune settimane e di cui abbiamo dato conto di recente, il Governo Conte II e la maggioranza che lo ‘sostiene’ (le virgolette non sono casuali) salvo imprevedibili colpi di scena vedrà la fine del 2019 e la verifica annunciata per le prime settimane del 2020.
Che l’attuale Esecutivo possa iniziare a pensare al 2020, tuttavia, non significa che di colpo siano svanite tutte le fonti di divisioni e polemiche tra e nei partiti che sostengono la seconda esperienza di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Stanno a dimostrarlo, solo a titolo di esempio, la modalità controversa con cui l’Esecutivo ha condotto in porto l’iter parlamentare della Legge di Bilancio (lunedì 23 dicembre la Camera dovrà dare il via libera definitivo alla manovra senza poter modificare il testo approvato in prima lettura dal Senato, pena esercizio provvisorio), il sommarsi di nuovi dossier (su tutti, il caso Banca Popolare di Bari) ai già variegati temi di scontro tra alleati-avversari e il deterioramento della situazione interna al Movimento 5 Stelle, dove le fuoriuscite di alcuni senatori in direzione della Lega e le voci di possibili ulteriori defezioni hanno reso palese che il capo politico, e ministro degli Esteri, Luigi Di Maio non ha più il pieno controllo dei propri Gruppi parlamentari.
A conferma che i pericoli per il Governo sono soltanto rimandati, inoltre, è sufficiente fare attenzione all’enfasi con la quale tutti i principali leader di maggioranza guardano al mese di gennaio: da Matteo Renzi a Nicola Zingaretti, passando per Luigi Di Maio e lo stesso Presidente del Consiglio, è unanime il coro di riferimenti a un “cambio di passo”, “una nuova agenda”, “un cronoprogramma per il 2023” o a “un confronto sulle priorità del Paese”. Ciò nonostante, le posizioni di M5S, Partito Democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali su temi come giustizia, infrastrutture, crescita, autonomie regionali e crisi industriali continuano a essere tanto distanti tra loro quanto lo sono state in questi tre mesi di esperienza giallorossa, e non basteranno certo i brindisi di Natale e Capodanno per rasserenare gli animi in una coalizione che finora si è retta su vertici di chiarimento notturni o a oltranza (rimarrà memorabile la maratona di oltre 14 ore necessaria, a ridosso dell’Immacolata, per stringere l’accordo finale sulla Legge di Bilancio).
Ma gennaio sarà un mese tutt’altro che privo di avvenimenti di rilievo, dal momento che l’inizio del 2020 porterà con sé la pronuncia della Corte Costituzionale sulla richiesta di referendum sulla legge elettorale formulata dalla Lega (le modifiche da apportare al Rosatellum sono un’altra questione su cui i partner del Conte II non viaggiano in piena sintonia) e, soprattutto, le elezioni regionali in Calabria ed Emilia-Romagna, sulle quali Matteo Salvini sembrava disposto a puntare il tutto per tutto pur di ottenere le elezioni anticipate, prima di lanciare l’appello per un ‘Comitato di salvezza nazionale’ (al momento raccolto, almeno come sfida, dal solo Renzi).
In aggiunta, è notizia di oggi l’avvenuto raggiungimento del numero di firme necessario per l’indizione del referendum costituzionale sulla riforma del numero dei parlamentari, il che fa sì che l’eventuale entrata in vigore della riduzione di deputati e senatori da 945 a 600 slitti da gennaio alla prossima primavera, sempre che non si verifichi in quei mesi il ritorno alle urne, a quel punto destinate a rinnovare il Parlamento nella sua attuale conformazione (facendo venire meno uno dei principali argomenti off the records a sostegno della prosecuzione della Legislatura).
Sullo sfondo delle dinamiche di politica interna, poi, non va dimenticato che l’Italia resta sotto l’osservazione della Commissione Ue per il debito pubblico in aumento, per l’alta disoccupazione e per delle prospettive di crescita del Pil tali da non indurre a ritenere superata la stagnazione degli ultimi anni. Per dirla con parole più chiare, se il 2019 non si è rivelato “un anno bellissimo” (come disse il premier lo scorso febbraio) il 2020 si annuncia fin da ora impegnativo per l’intero sistema economico-produttivo nazionale, e una situazione di questo tipo esige un Governo stabile, coeso e determinato nel portare avanti il proprio programma, senza che la sua routine quotidiana siano le polemiche a uso e consumo dei social media e che il suo collante sia rappresentato dal timore che i sondaggi negativi divengano realtà.