La scelta del Presidente del Senato spiazza i dem e complica i piani per la ricostruzione del centrosinistra
Com’era da aspettarsi, la definitiva approvazione della riforma elettorale con un massiccio ricorso alla fiducia non poteva non avere ripercussioni sul Partito democratico, presentatosi alle Politiche del 2013 con Pierluigi Bersani leader di una coalizione con baricentro a sinistra e ora avviato, dopo 5 anni che hanno rivoluzionato il panorama politico, verso alleanze centriste sotto la guida egemonica di Matteo Renzi.
L’uscita del presidente del Senato Pietro Grasso dal gruppo dem di Palazzo Madama, a ben vedere, rappresenta da un lato la prova che le attività dell’attuale Parlamento termineranno (eccetto sorprese) a dicembre con il via libera alla manovra e, dall’altro, la definitiva conferma dell’incomunicabilità del Pd renziano con alcuni settori della società civile un tempo affini al centrosinistra. “Ormai non condivido più né il metodo né il merito” è stata la motivazione attribuita dalla seconda carica dello Stato al suo strappo, che in realtà era nell’aria da molto tempo. Troppo grandi sono state le diversità di vedute tra l’ex pm antimafia (la cui candidatura nacque da una forte iniziativa di Bersani) e Renzi, rese forse irrecuperabili dal referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Non deve infatti sorprendere che Grasso in privato abbia comunicato a Luigi Zanda l’addio al partito, e non al “suo” segretario.
Per il momento, il presidente di Palazzo Madama aderirà al Misto e non intende sbilanciarsi sul proprio futuro politico, che al Nazareno avrebbero voluto proseguisse con una candidatura alle elezioni di inizio 2018. Da alcune settimane, tuttavia, si stanno facendo insistenti le voci su una possibile adesione di Pietro Grasso a Mdp, i cui leader starebbero addirittura pensando di indicarlo come candidato a Palazzo Chigi al posto del “riluttante” Giuliano Pisapia. L’ex magistrato gode senz’altro di popolarità a livello nazionale e potrebbe anche recuperare i consensi di molti delusi dai dem (Walter Veltroni in un tweet odierno si è spinto a sostenere che “il Partito democratico è stato ideato e costruito per persone come lui”), ma non è detto che la sua scelta non nasconda il desiderio di sottrarsi alle tensioni dell’imminente campagna elettorale per ritagliarsi un ruolo da riserva della Repubblica, rivendicabile in caso di future situazioni di impasse istituzionale.
Vadano come vadano gli eventi delle prossime settimane, la seconda carica dello Stato ha di certo complicato i piani di Matteo Renzi e reso ancor più difficile la ricostruzione di una coalizione di centrosinistra, che nel quartier generale del Pd pensavano sarebbe stata resa inevitabile dall’entrata in vigore del Rosatellum 2.0. In fin dei conti, mai previsione si rivelò più sbagliata.