Il centrodestra di Nuova Democrazia riconquista il governo, malgrado le esperienze durante e dopo lo scoppio della recessione. Ma il nuovo premier Mitsotakis potrebbe incorrere nella stessa sorte di Tsipras, sconfitto per le sue promesse non mantenute
Si è concluso con un ritorno al punto di partenza il decennio trascorso dallo scoppio della crisi economica in Grecia, durante il quale lo Stato ellenico si è sottoposto a tre piani di salvataggio finanziario da parte della famigerata Troika dei creditori (composta da Commissione Ue, Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea) pari a oltre 280 miliardi di euro, vedendo il suo debito pubblico raggiungere la soglia impressionante del 180% rispetto al Prodotto Interno Lordo e i suoi cittadini pagare un prezzo altissimo in termini di riduzione del potere d’acquisto e di perdita di posti di lavoro, tanto che in base ad alcune stime il Pil tornerà solo nel 2033 ai livelli pre 2009.
Con le elezioni di domenica 7 luglio i greci hanno infatti deciso di affidarsi nuovamente a uno dei partiti cardine dal ritorno della democrazia nel 1974: Nuova Democrazia, forza politica di centrodestra che nel recente passato aveva governato dal 2007 al 2009 e dal 2012 al 2015, finendo per essere punita dagli elettori nel primo caso per l’infelice gestione delle fasi iniziali della recessione e, nel secondo, per aver accettato l’esecuzione delle prime misure di risanamento draconiane stabilite da Bruxelles.
In virtù del 39,9% dei voti ottenuti e dei 158 seggi conquistati, tali da far sì che il suo sia il primo Governo a poter disporre di una maggioranza assoluta nel Parlamento di Atene dal fatidico 2009, la carica di primo ministro sarà esercitata nei prossimi quattro anni da Kyriakos Mitsotakis, membro di una delle dinastie della politica greca (anche suo padre Konstantinos ha ricoperto il ruolo di premier, dal 1990 al 1993) e con alle spalle un’esperienza da ministro della Pubblica Amministrazione tra il 2013 e il 2015.
Mitsotakis, leader di Nuova Democrazia dal 2016, ha già formato il proprio Esecutivo e ha dichiarato di volersi mettere all’opera quanto prima per mantenere gli impegni presi durante la campagna elettorale, a partire dai piani per la riduzione delle tasse su ceto medio e imprese e per favorire la piena ripresa degli investimenti sia interni che esteri, fondamentali per la crescita dell’economia ellenica e per il ritorno a tassi di finanziamento del debito sostenibili per le casse statali.
Tuttavia, ancora una volta molto dipenderà dalla flessibilità che verrà concessa alla Grecia dalla Troika, dal momento che questa continua a esercitare un controllo tecnico sui conti di Atene anche dopo la conclusione, nell’agosto 2018, del terzo e ultimo programma di salvataggio. In particolar modo, il nuovo Capo dell’Esecutivo spera di convincere i creditori ad allentare l’applicazione della clausola in base alla quale la Grecia dovrà mantenere fino al 2022 un surplus di bilancio del 3,5% del Pil, per poi scendere al 2,2% negli anni successivi, al fine di ridurre il mastodontico debito del Paese.
In altri termini, come Alexis Tsipras anche Kyriakos Mitsotakis corre il rischio di vedere il rispetto delle proprie promesse reso proibitivo dalle politiche di austerità tracciate a livello europeo e che continueranno ad avere efficacia, a vario titolo, addirittura fino al 2060.
Passando allo sconfitto del voto di circa dieci giorni fa, Tsipras ha pagato le innumerevoli marce indietro della sua esperienza di governo rispetto alle promesse di cambiamento radicale e rottura dei paradigmi imposti dall’Unione europea che lo avevano portato al potere nel gennaio del 2015. Dal momento in cui capitolò a distanza di una settimana dal referendum con cui, precisamente quattro anni fa, il 61% dei greci disse “No” alle durissime condizioni di soccorso economico studiate da Bruxelles e Washington, l’ormai ex astro nascente della sinistra continentale non ha fatto altro che applicare senza battere ciglio le politiche neoliberali che per anni aveva contestato aspramente, finendo negli ultimi tempi per esibire una stretta intesa con la cancelliera tedesca Angela Merkel, sua grande avversaria nei mesi iniziali da primo ministro, e manifestare una propensione al dialogo persino con il presidente statunitense Donald Trump e con il leader israeliano Benjamin Netanyahu.
Malgrado Syriza (Coalizione della Sinistra radicale) abbia tradito la propria anima di forza anti establishment, finendo per trasformarsi in qualcosa di simile a un partito socialdemocratico, il risultato raccolto dalla formazione nelle urne è stato superiore a quanto lasciasse prevedere la disfatta subita in occasione delle votazioni Europee e locali del maggio scorso. Syriza ha infatti racimolato il 31,6% dei consensi, pari a 86 seggi in Parlamento, e si è collocata nettamente al di sopra del terzo partito più scelto dai cittadini ellenici (il progressista Movimento per il Cambiamento, fermo all’8% delle schede).
Dunque, il sistema politico greco sembra attualmente ruotare intorno al bipartitismo Nuova Democrazia-Syriza e non è pertanto da escludere che, in occasione del prossimo appuntamento elettorale, Alexis Tsipras possa tornare a conquistare la premiership dopo aver ‘espiato’ i propri errori all’opposizione. La democrazia dell’alternanza, in fondo, è solita rendere possibili eventi a lungo improbabili.