La questione dei servizi segreti è sempre stata centrale, per ogni governo, che all’occorrenza li ha anche usati, manipolati, accusati, deviati insomma, a suo piacimento. Salvo poi darli in pasto alla stampa, di volta in volta, per offrire un colpevole da condannare e coprire le malefatte che la politica stessa ha ordito.
Funziona così, da sempre. Però non si può dire, non si può raccontare. Perché i servizi segreti sono un’arma estremamente potente nelle mani della politica, altrimenti non si capirebbe il motivo della ritrosia del premier Conte nel mollare proprio la delega ai servizi segreti. Una battaglia che ha combattuto, ufficialmente, contro Matteo Renzi, anche se erano tanti i cagnolini che avrebbero voluto addentare quell’osso. Ma sono rimasti nell’ombra, avendo cura di non esporsi per non apparire interessati. Alla fine, Conte ha mollato (forse) l’osso nominando l’ambasciatore Pietro Benassi a sottosegretario con delega ai Servizi segreti. Uomo capace e di grande esperienza, ma già etichettato come uomo di fiducia di Conte che proprio ad una figura del genere aveva annunciato di voler cedere la delega ai servizi. Che tradotto equivale a dire che vorrà mantenere informalmente il controllo sull’intelligence.
Perché, parliamoci chiaro, la riservatezza e il segreto a cui sono obbligati i servizi segreti, aiuta sempre la politica a navigare in acque torbide senza rischiare direttamente. La prova di tutto ciò è in alcuni articoli apparsi su certa stampa nei giorni scorsi.
Fa sorridere, anche amaramente, il tentativo di difendere Giuseppe Conte accusando ancora una volta l’intelligence delle peggiori nefandezze. Quando Renzi (e non solo lui, ribadiamo), ha sollevato la questione della delega in mano al Premier da anni, su alcuni quotidiani i servizi segreti sono stati descritti come una banda di criminali che commette azioni indicibili, anche se non si capisce perché.
Non è un mistero che all’interno di ogni categoria umana e professionale vi siano le famose “mele marce”, ma alcuni illustri colleghi omettono di spiegare ai lettori che gli “ordini” arrivano sempre dalla politica. Quella sì che in alcuni casi è deviata, ma a pagare sono sempre i “sottoposti”. Da Abu Omar alla trattativa tra Stato e mafia, quei servizi hanno agito su “forte impulso” della politica. Perché davvero non si capisce il motivo per cui, ad esempio, un gruppo di agenti italiani avrebbe dovuto aiutare la Cia nel rapimento dell’imam milanese. A che pro? Qualcuno se lo è mai chiesto davvero? E ancora, per quale motivo l’intelligence, visto che qualche giornale cita la vicenda, avrebbe dovuto mettere in piedi il protocollo “Farfalla” per suo tornaconto personale? Sarà forse perché la classe politica ha bisogno delle informazioni riservate in mano agli 007 per coprirsi, ricattare i nemici e trarne un profitto personale? E perché la brillante operazione “Beirut”, condotta dal Sismi e risalente al 2004 che portò alla cattura di terroristi intenzionati a colpire l’ambasciata italiana in libano, non trovò quasi mai un degno spazio nei quotidiani nostrani?
Era forse fastidiosa rispetto alla politica filo-araba mantenuta dai vari governi succedutisi dagli anni ’70 in poi, sebbene andasse contro gli interessi di sicurezza di Israele, Paese sponda dell’Occidente nel calderone mediorientale?
Unica spiegazione alternativa potrebbe essere l’estremo attaccamento al dovere di molti funzionari ed agenti che, in nome della ragion di stato, hanno consapevolmente oltrepassato i limiti imposti dalle leggi vigenti, non per trarne un beneficio personale, ma per la tutela di ogni singolo cittadino. Sì, sembra una favola, ma a volte farebbe bene crederci. Anche perché poi, in ambienti di intelligence, alla fine nulla è ciò che appare.
Francesca Musacchio, direttore di Ofcs Report