Il Semestre di presidenza italiana in Europa e il secondo mandato presidenziale di Giorgio Napolitano: sono queste le prime due scadenze che inaugurano il 2015 della politica italiana.
Nel caso del semestre di turno si tratta di scadenza naturale (era iniziato il 1° luglio 2014 e si è chiuso il 31 dicembre 2014), mentre per Napolitano la chiusura del settennato è largamente anticipata (il termine sarebbe il 2020) ma anche ampiamente preannunciata.
Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, martedì 13 gennaio 2015 sarà a Strasburgo nell’Aula del Parlamento europeo per tenere il discorso di conclusione del Semestre italiano, con il contestuale passaggio di consegne alla Lettonia che assume per la prima volta la Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea. L’appuntamento cade nella settimana immediatamente successiva ai tragici fatti di Parigi e, con ogni probabilità, Renzi avrà ricalibrato il testo del suo intervento in maniera da poter lasciare spazio a un richiamo allo spirito originario e ai valori fondanti dell’UE. Sicuramente il premier produrrà anche un bilancio dei lavori svolti (numerosi, ricchi di dibattiti e appuntamenti istituzionali) e dei risultati ottenuti dall’Italia (ben pochi, a mio giudizio) durante la Presidenza, ma credo si possa dire che l’Italia abbia seminato tanto, cercando di convincere le istituzioni e i partner europei che l’Unione necessita di urgenti cambiamenti e molteplici miglioramenti dai quali dipenderanno il suo stato di salute e la sua stessa sopravvivenza. Le riforme interne ai singoli Stati, la flessibilità sui conti economici, la rimodulazione delle politiche di accoglienza dei flussi migratori e la capacità dell’UE di innovarsi, a lungo invocate da Renzi e da altri leader europei come le chiavi di volta per evitare l’arroccamento dell’Unione su posizioni di retroguardia capaci di metterne a rischio la solidità, saranno le sfide del prossimo futuro. I frutti dell’impegno italiano dei sei mesi di Presidenza si potranno cogliere e valutare solo nei prossimi anni.
Lunedì 12 gennaio 2015, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto al Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi. Queste poche e asciutte righe pubblicate sul sito istituzionale del Colle potrebbero aver “descritto” l’ultimo incontro istituzionale ufficiale di Giorgio Napolitano in qualità di Capo dello Stato. Sono infatti attese per mercoledì 14 gennaio (o al massimo per il 15 gennaio) le dimissioni irrevocabili dell’unico Presidente della Repubblica ad essere stato rieletto in oltre 60 anni di storia repubblicana. Dopo quasi 9 anni trascorsi a rappresentare l’Italia e a gestire innumerevoli crisi politiche e finanziarie, Napolitano diventerà Presidente emerito della Repubblica e Senatore a vita. Le motivazioni della sua decisione, presa da tempo e anticipata l’8 novembre 2014 da Stefano Folli sulle colonne de la Repubblica, sono da rintracciarsi oltre che nella comprensibile stanchezza fisica (il 29 giugno 2015 compirà 90 anni) anche nel fatto che il Presidente della Repubblica aveva indicato chiaramente in sede di rielezione i limiti e le condizioni – anche temporali – del suo secondo mandato. Nel 2013 aveva infatti legato il suo “Sì” con il percorso delle riforme (a più livelli, da quella costituzionale a quella della legge elettorale), avviate dal Governo Letta e portate avanti con maggiore vigore dal Governo Renzi. Ora che le riforme sono incardinate in Parlamento, Napolitano sente di poter affermare “missione compiuta” e di poter mantenere fede ad una promessa fatta in sede di rielezione (“l’Italia non avrà un Presidente novantenne”).
Ospite di Lilli Gruber a Otto e Mezzo su La7 nella puntata di venerdì 9 gennaio 2015, Renzi si è detto pronto a scommettere sul fatto che il Parlamento in seduta comune (che dovrà essere convocato dal Presidente della Camera dei Deputati entro 15 giorni dalle dimissioni di Napolitano) riuscirà ad eleggere il nuovo inquilino del Colle al quarto scrutinio (il primo a partire dal quale è sufficiente la maggioranza assoluta): a fine gennaio vedremo se la scommessa sarà stata vinta o se dovrà essere catalogata come l’ennesima previsione in materia di toto-Quirinale a uscire sconfitta dal segreto delle urne. In ogni caso, il prossimo Presidente della Repubblica avrà molto da fare. D’altronde siamo in Italia e le crisi (politiche e non) sono purtroppo sempre dietro l’angolo.