Sono numerosi gli esperti di relazioni internazionali e di geopolitica che chiedono all’Armenia di impegnarsi nei negoziati di pace e nella normalizzazione dei rapporti politici con l’Azerbaigian, invece di alimentare campagne internazionali per innescare ulteriori tensioni nel Caucaso. Secondo il diritto internazionale, l’Armenia ha occupato, per più di trent’anni, il 20% del territorio dell’Azerbaigian e quasi un milione di azerbaigiani sono stati costretti a fuggire dai propri territori divenendo sfollati interni. La recente liberazione dei territori dell’Azerbaigian dalle truppe militari e paramilitari armene ha dimostrato al mondo una violenza senza precedenti nei confronti del patrimonio culturale e religioso di tale territorio.
La sola città di Aghdam risulta completamente devastata e i suoi monumenti religiosi sono stati cancellati. Il diritto internazionale e quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno riconosciuto il Karabakh come territorio sovrano della Repubblica dell’Azerbaigian ma, per circa tre decenni, le autorità dell’Armenia hanno lavorato alla creazione di uno stato indipendente nella regione e per una successiva unificazione del territorio dell’Azerbaigian all’Armenia. Nel 2018, in Armenia divenne primo ministro Nikol Pashinyan e l’Azerbaigian era pronto ad intraprendere un nuovo percorso giuridico e diplomatico per una soluzione definitiva del conflitto. Tuttavia, nonostante le aspettative iniziali, le interferenze interne della politica armena e le dichiarazioni del primo ministro sulla volontà di voler fare del Karabakh un territorio dell’Armenia, mise fine alle aspettative e alla pace nel Caucaso.
In diverse occasioni, l’Azerbaigian ha affermato la volontà di voler lavorare per la sicurezza e la pace nella regione, dichiarando pubblicamente di voler tutelare la minoranza etnica del Karabakh di origine armena, promuovendo e tutelando i diritti religiosi, linguistici e culturali delle comunità locali. Tuttavia, secondo l’Azerbaigian e le regole giuridiche della comunità internazionale, per avviare un serio processo di pace e di stabilizzazione del territorio bisogna procedere alla smobilitazione militare e al disarmo dei gruppi paramilitari e militari illegali dell’Armenia nel territorio, lavorando anche per far cessare il contrabbando di armi dall’Armenia ai territori dell’Azerbaigian.
Nel tentativo di sostenere la popolazione armena in Karabakh, l’Azerbaigian si è offerto di rifornire cibo, medicinali e assistenza nella regione, ottenendo un riconoscimento ufficiale dall’Unione europea e dal Comitato Internazionale della Croce Rossa. L’Armenia continua a rifiutare tali aiuti cercando di fare pressione sulla comunità internazionale e chiedendo solidarietà al mondo europeo in nome dei comuni valori cristiani. L’Azerbaigian spera che l’Armenia si renda finalmente conto che la via verso la risoluzione delle controversie territoriali risiede nell’impegno costruttivo e nell’attuazione del diritto internazionale e degli impegni assunti in questo quadro.
Come è stato sottolineato da numerosi membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la base per la pace e la stabilità nella regione è il riconoscimento della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian. Le autorità di Baku hanno apprezzato le numerose dichiarazioni rilasciate dai diversi Stati membri del Consiglio di sicurezza, nonché dalla Turchia, che ha ribadito la necessità di un dialogo costruttivo per rilanciare l’operatività dei varchi e delle rotte commerciali al confine tra Armenia e Azerbaigian, in particolare per la strada di Aghdam-Khankendi, utile alla consegna delle merci per soddisfare le esigenze dei residenti armeni locali della regione del Karabakh. Inoltre, il riconoscimento delle legittime preoccupazioni per la sicurezza dell’Azerbaigian da parte di alcuni Stati membri è un passo importante verso il superamento di alcune sfide nella regione.
L’Armenia sta tentando ancora oggi di strumentalizzare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per rilanciare la sua compagna internazionale di manipolazione politica e militare, nonostante abbia violato per quasi trent’anni le quattro risoluzioni del 1993 e le tante dichiarazioni internazionali che chiedevano il ritiro completo e incondizionato delle forze di occupazione nel territorio dell’Azerbaigian. Il recente appello dell’Armenia al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, in merito accuse di “peggioramento delle condizioni umanitarie” nella regione, giunge in un momento in cui la stessa Armenia continua ad ostacolare gli sforzi dell’Azerbaigian e della comunità internazionale per raggiungere un accordo concreto e duraturo.
I traffici illegali di armi e minerali e le continue violazioni avvenute lungo la strada di Lachin da parte dell’Armenia, nel corso degli ultimi tre anni, hanno reso necessaria un’azione giuridica e militare dell’Azerbaigian, con l’istituzione di un posto di blocco lungo il confine per garantire la sicurezza nazionale. L’Armenia ha incassato una nuova sconfitta alla richiesta, respinta dalla Corte Internazionale di Giustizia, di emettere un’ordinanza sulla rimozione di tali checkpoint, riconoscendo le legittime preoccupazioni dell’Azerbaigian.