Da venerdì scorso sono venute meno diverse restrizioni legate allo stato d’emergenza sanitaria, abolito anch’esso il 31 marzo. Ma un lugubre spettro si aggira ugualmente per il Paese, portando con sé i lunghi strascichi della terribile malattia: lo chiamano “Long Covid”, ed è il preludio di un incubo.
Infatti, una persona su tre, fra quelle che sono state ricoverate, manifesta dopo un anno sintomi particolari come stanchezza o respiro corto, mal di pancia o aritmia, perdita dell’olfatto o persino depressione. E se il bilancio quotidiano degli infettati e dei guariti non tiene conto della scia di problemi che la pandemia lascia in eredità, questi invece continuano a colpire anche a distanza di molto tempo.
Insomma, a quanto pare il Covid continuerà ad impattare sulla salute pubblica anche quando il virus sarà (si spera presto) definitivamente sconfitto. D’altronde, questi furiosi colpi di coda dati dalla pandemia non sono certo passati inosservati agli occhi di un po’ tutti i governi del mondo, che stanno correndo al riparo per limitarne i danni. Ad esempio, negli Stati Uniti il presidente Joe Biden ha chiesto il riconoscimento legale della malattia, mentre il Congresso ha stanziato un miliardo di dollari per comprendere meglio le basi mediche di una sindrome che appare ancora poco chiara; la Gran Bretagna, invece, ha commissionato ben 15 ricerche scientifiche al riguardo, finanziandole con 20 milioni di sterline. La Finlandia, infine, si aspetta che diventi una delle principali malattie croniche del Paese.
Difatti, secondo i pareri dei ricercatori dell’università di Oxford, il 37% degli ex ricoverati presenterebbe almeno un sintomo di “Long Covid”; anche se nelle persone colpite da forme lievi la sindrome sarebbe meno frequente, ma non del tutto assente. Fissando un momento lo sguardo sul nostro Paese, dove si sono registrati oltre 11 milioni di contagi, a soffrire a lungo termine degli effetti della pandemia sarebbero tra i 3 e i 4 milioni di italiani, tra cui anche parecchi bambini. A tal proposito, la Società italiana di pediatria (Sip) ha recentemente invitato i genitori a far visitare accuratamente i bambini guariti dal Coronavirus, sia 4 settimane che 3 mesi dopo la fase acuta della malattia.
Dagli studi condotti finora è emerso il fatto che, dopo un anno dalla guarigione, il 50% degli ex ricoverati presenta una compromissione lieve o moderata della respirazione; mentre per un altro 10% la compromissione si rivela grave, e non accenna a migliorare nel tempo. Riguardo gli strascichi della malattia sul cervello, in un terzo degli ex ricoverati, soprattutto dai 50 anni in su, è possibile riscontrare una depressione vera e propria, accompagnata da alcune difficoltà nello svolgimento delle attività cognitive superiori e da altri sintomi come rallentamento, affaticamento, perdita delle capacità motorie fini, senso di estraneità dal proprio corpo.
Insomma, gli effetti a lungo termine del Coronavirus sulla salute fisica e psicologica continuano a gravare persino su quanti sono riusciti a sconfiggere la malattia, spesso soltanto in seguito ad una lotta estenuante. Anche se i sintomi del “Long Covid” sembrano recedere in modo graduale, ma con estrema lentezza, per le vittime di questo nuovo incubo la pandemia purtroppo non cesserà né con l’attenuarsi dell’ultima ondata né con la fine dello stato di emergenza.