A cura dell’avvocato Teresa Lopardo*
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad un sorprendente cambiamento sociale contraddistinto dall’innovazione tecnologica che ha modificato alcuni principi e valori fondanti della società.
Se da un lato il processo innovativo delle tecnologie informatiche e digitali ha permesso l’abbattimento delle barriere spazio/tempo, dall’altro non si può non considerare quanto l’uso distorto di uno strumento digitale possa essere oggetto di diversi reati che, in alcuni casi, non trovano ancora adeguate tutele nel nostro ordinamento penale.
Lo spostamento in rete della nostra quotidianità, anche in ragione delle dettate misure di contrasto alla pandemia, ha fatto emergere veri e propri fenomeni criminali quali lo stalking digitale – inteso in una accezione molto più ampia del tradizionale concetto di “stalking” di cui all’art. 612-bis c.p. – che assume un rilievo decisivo in ragione delle serie conseguenze che determina in quanto comprendente al suo interno tutti i comportamenti persecutori perpetrati attraverso la rete a prescindere, appunto, dalla sussistenza di un rapporto di conoscenza tra l’autore del reato e la vittima.
Nell’attuale società l’accesso ad internet è considerato sempre più come un diritto primario per il benessere economico dell’individuo e pertanto è necessario garantire “che questo spazio sia sicuro e diventi luogo di emancipazione e sviluppo per tutti”. Ciononostante, legislazione e giurisprudenza si sono adeguate con fatica alle nuove frontiere delle condotte criminali.
Secondo un recente report americano i TFA (abusi facilitati dalla tecnologia) sono in continuo aumento e svariati sono gli strumenti attraverso i quali vengono compiuti: dai social media alle piattaforme di gaming on line, ai siti di condivisione di immagini e video, sino alle ormai diffusissime app di messaggistica istantanea.
Il cyberstalking può essere fortemente lesivo per le conseguenze che determina, le quali non si limitano alla sfera esclusivamente digitale dell’individuo, ma si trasformano in un vero e proprio precursore di condotte abusanti fisiche e dirette sulla vittima. I casi di stalking digitale sono sempre più frequenti e vedono coinvolti non solo volti noti, ma anche persone comuni che possono vedere esposte, senza tutela alcuna, la propria immagine, la propria identità e la propria dignità a causa di un video o di un commento divenuto virale.
Anche se lo stalking digitale assume rilievo internazionale, ancora non esistono trattati internazionali o sovranazionali che puniscano nello specifico tali condotte, esistendo solo alcune disposizioni nazionali, nella maggior parte dei casi nate per disciplinare casi “analoghi” e poi adattate per ricomprendere anche le nuove fattispecie criminose.
Anche se il fenomeno dello stalking – così come oggi concepito – ha origini risalenti agli anni ’80, in Italia solo nel 2009 è stato introdotto l’art. 612-bis c.p., rubricato “atti persecutori”, che punisce chiunque “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Il reato risulta poi aggravato se commesso con “strumenti informatici o telematici”. Specificatamente, lo stalker è il soggetto attivo del reato, il quale pone in essere comportamenti di persecuzione avverso la vittima o attraverso l’uso di strumenti di comunicazione quali sms, telefonate, lettere, email o persino murales e graffiti oppure mediante comportamenti che si sostanziano nel pedinare o sorvegliare la vittima.
Sempre più di frequente gli stalker si avvalgono dell’assistenza di terzi (scegliendoli tra i membri della famiglia o degli amici) per perpetuare in maniera ancora più opprimente la condotta persecutoria nei confronti della loro vittima o per trovare un modo per continuare a molestare la vittima qualora questo gli sia impedito dall’autorità giudiziaria con misure interdittive. Inoltre, la Cassazione con sentenza 26456/2022 ha elaborato la fattispecie criminosa di “stalking indiretto” ritenendo che l’invio di messaggi ad amici della vittima configuri esso stesso reato di stalking.
Nella realtà si tratta di un reato che non solo condiziona pesantemente la vita delle vittime ma può rappresentare l’anticamera di delitti più gravi e violenti fino a sfociare nella violenza privata o addirittura nell’omicidio. Il Rapporto Italia 2021 Eurispes, rileva che il 9,3% degli italiani è stato vittima di stalking. L’età della vittima, nel 13% dei casi è compresa tra i 18 e i 24 anni, anche se per ogni fascia di età (fino a 64 anni) si registrano percentuali superiori al 10%.
Le donne subiscono atti persecutori tre volte più degli uomini (il 14% contro il 4,5%) e spesso vengono prese di mira maggiormente le donne straniere (15,8%) rispetto alle italiane (9%). Soltanto il 13,7% delle vittime denuncia mentre l’86,3% dei casi resta nell’ombra.
Il 50% delle vittime sceglie l’autodifesa oppure non reagisce ed attende che il persecutore smetta, conseguenza dovuta all’intempestività delle reazioni dell’ordinamento giuridico all’immediatezza con cui si manifestano tali condotte persecutorie, in particolare nel mondo digitale.
Diverse indagini statistiche evidenziano come, allo stato, le vittime di stalking siano prive di una tutela effettiva, in particolare nei casi in cui uno sconosciuto inizi a monitorarne la vita online, anche commentandola e denigrandola, senza considerare che i danni psicologici che possono essere arrecati alle vittime sono potenzialmente gravissimi, impattando direttamente l’espressione della personalità e dell’identità degli individui.
Pertanto, al fine di garantire prevenzione e tutela effettiva e diretta da tali fenomeni, è auspicabile, al di là di una prospettiva de iure condendo, una consapevolezza di carattere culturale che possa portare ad un attento e ponderato uso degli strumenti informatici e digitali per evitare che gli stessi si trasformino in “armi” in grado di arrecare un male ingiusto ad altri soggetti.
*Studio Viglione-Libretti & Partners