Di Angelo Gardella*
Le cronache di questi giorni raccontano di gente esasperata che sta portando le sue proteste nelle piazze d’Italia. E’ il popolo delle Partite Iva, notoriamente riluttante a manifestare. Gente abituata a lavorare che di solito non ha tempo per protestare perché andare nelle piazze significa chiudere la bottega, il laboratorio, l’ufficio. E’ gente che non ama esporre pubblicamente i suoi problemi, ma è più avvezza a rimboccarsi le maniche per risolverli.
Sono lavoratori con tante responsabilità e pochi diritti. A loro non è garantito il diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente, alle ferie, a riposi giornalieri, a pause e riposi settimanali, a una durata massima dell’orario di lavoro, a non essere licenziati senza una giusta causa, alle tutele sindacali. Inoltre, il lavoratore autonomo solitamente non ha accesso alle prestazioni pubbliche previste in caso di malattia, infortunio, maternità e, salvo casi rari, non ha diritto al trattamento di fine rapporto.
E’ la categoria che più di altre ha subìto le ripercussioni della fase emergenziale da Covid-19 costretti alla chiusura imposta arbitrariamente e, soprattutto, senza alcuna garanzia di un giusto sostegno economico. Le disposizioni imposte dal Governo hanno mandato in crisi un settore importante dell’economia nazionale costituito dalle partite iva.
Un massacro annunciato. Il comparto era già in sofferenza prima della pandemia a causa di una politica economica e fiscale fallimentare. La politica di congelare le attività, se non accompagnata da indennizzi coerenti, oltre che a minare il sacro principio della pari dignità, non poteva che produrre il risultato che oggi vediamo.
Dietro le partite iva ci sono famiglie ridotte sul lastrico. Raccogliamo testimonianze agghiaccianti di gente allo stremo che non ce la fa più. Dichiarano difficoltà perfino a fare la spesa quotidiana, a pagare l’affitto, le bollette, le assicurazioni, le cure mediche. A rischio c’è la sopravvivenza delle loro attività, la garanzia del lavoro, il futuro delle proprie famiglie e dei propri figli.
Se le partite iva scendono in piazza perfino contravvenendo i divieti, non è per fare shopping, ma perché la situazione è drammatica e insostenibile. La gestione della crisi pandemica ha accentuato le disuguaglianze sociali e gli appelli lanciati finora, nella massima compostezza, sono rimasti inspiegabilmente inascoltati e ciò ha inasprito gli animi.
Adesso però il Governo eviti almeno l’errore di sottovalutare questi scenari perché la disperazione offusca la ragionevolezza e basta un nulla per trascendere nella disobbedienza civile spinta dall’istinto di sopravvivenza. A rischio c’è la civile convivenza.
Ora servono risposte, non è più il tempo di tergiversare. Il Governo dimostri di avere gli attributi per poter affrontare la drammatica realtà, riunisca le forze sociali e produttive per programmare, insieme, un percorso ambizioso di normalizzazione e di riforme strutturali con tempi e modi definiti, un piano straordinario di rinascita del Paese, condiviso.
Le partite iva in Italia sono circa 5,3 milioni, che unitamente a familiari e collaboratori non solo esprimono un comparto di vitale importanza per l’economia nazionale, ma costituiscono una rappresentanza di interessi di parecchi milioni di persone. Per questo motivo non è più accettabile l’esclusione delle partite iva dai tavoli in cui si discute delle loro sorti.
Il Governo non commetta l’errore imperdonabile di agire senza ascoltarle. Anche perché oggi le partite iva sono strutturate, affiancate da centri studi con professionisti competenti che hanno molto da apportare, e la politica abbia l’umiltà di ascoltare non solo i burocrati, ma anche chi quotidianamente si confronta con le difficoltà operative e più di chiunque altro conosce cosa serve e quanto è fattibile.
*Commercialista