Sta facendo molto discutere la recente sentenza della Corte di Cassazione in tema di diritto all’oblio, ovvero la possibilità per determinati soggetti di chiedere a chiunque, siano essi istituzioni, giornali o motori di ricerca, di non far più comparire certe notizie loro riguardanti e riportate su atti pubblici, siti o giornali.
Interrogati sul punto, con la sentenza n. 13524/2021 gli ermellini di piazza Cavour hanno affrontato qualche giorno fa nuovamente l’argomento, se è giusto o meno che la memoria – in presenza di determinate condizioni – “dimentichi” fatti o situazioni accaduti in tempi precedenti, in nome della legittima aspirazione di ognuno ad essere ignorato (o, semplicemente, tenere nascosto qualche episodio della propria vita).
A finire sotto la lente d’ingrandimento della Suprema Corte, stavolta, la procedura relativa alla cancellazione di un’ipoteca, attività da compiersi necessariamente sui registri immobiliari che, per definizione, servono proprio a favorire la pubblicità dei fatti giuridici.
Ad adire ai giudici del Palazzaccio un cittadino che contestava le modalità di cancellazione di un’ipoteca a suo carico perché lesiva – a suo dire – del diritto d’immagine personale, della propria riservatezza, e ai diritti di oblio e di accesso al credito. Secondo quanto in sentenza, la banca del soggetto in questione, a causa del mancato pagamento di alcune rate del mutuo, decideva di iscrivere un’ipoteca sulla sua abitazione. Dopo qualche tempo però, il soggetto in questione era riuscito a chiudere tutte le posizioni debitorie sanando tutti i pregressi, ragion per cui chiedeva la cancellazione dell’iscrizione di quella odiosa garanzia.
Prontamente, non essendoci più pendenze, i funzionari provvedevano ad eseguire la cancellazione in conformità della legge, e cioè annotando a margine della precedente ipoteca la nuova situazione. Peccato che – ha affermato il ricorrente – l’Agenzia del territorio, nell’effettuare l’annotazione della cancellazione, abbia comunque lasciato traccia della presenza di quel trascorso poco fortunato nei registri immobiliari, e quindi chiunque – attraverso una semplice visura – può venire a conoscenza di quell’incidente di percorso. In tal modo, secondo la tesi sostenuta davanti alla Cassazione, veniva compromesso il diritto all’oblio e, conseguentemente, dell’accesso al credito del soggetto, dal momento che la cancellazione consente sempre di apprendere della precedente iscrizione ipotecaria a favore della banca, permettendo così a terzi di constatare che egli, in un dato momento ormai trascorso della sua vita, si era reso moroso nel pagamento di taluni debiti.
I giudici però non hanno potuto fare altro che prendere atto di quanto stabilito dall’art. 2886 del codice civile, ovvero che la cancellazione di un’iscrizione (o la rettifica) deve essere eseguita a margine della medesima, così da permettere ai registri immobiliari di dare conto della pregressa formazione di un titolo giudiziale. Nel contempo, sottolineano i giudici, con questa procedura si da anche conto del fatto che quel titolo è poi rimasto travolto, così da legittimare la cancellazione: “val quanto dire che la cancellazione testimonia che il debitore ha infine pagato il suo debito, o che comunque presupposti per l’iscrizione ipotecaria non sussistevano” hanno scritto i togati della Suprema.
“Un’abrasione dell’iscrizione, che non lasciasse traccia del passato, sarebbe inconcepibile, giacché l’effetto non sarebbe il semplice venir meno dell’iscrizione, a partire da quel momento, con l’estinzione dell’ipoteca, ma l’eliminazione dell’ipoteca ora per allora dal mondo del diritto, tale in definitiva da falsare i fatti, facendo tabula rasa di ciò che pure è stato“. Lunga vita alla memoria, dunque, se è la legge a imporlo.