A partire dal 1 aprile 2019 l’Italia ha speso per reddito di cittadinanza, pensione di cittadinanza e reddito di emergenza circa 13 miliardi di euro, complessivamente erogati a 4,4 milioni di persone e circa 2 milioni di nuclei familiari. Un impiego di risorse notevole a fronte del quale il nostro Paese si ritrova però a dover fronteggiare sia un incremento delle persone in condizioni di povertà rispetto alla stima 2019 operata dall’Istat (circa 600mila), sia una riduzione tutto sommato marginale della povertà assoluta (-1,6% nel 2020).
Questi i dati emersi dall’Ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate, pubblicato da il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali (www.itinerariprevidenziali.it) a cura di Alberto Brambilla e Natale Forlani. Un’analisi comparata tra i dati Istat sulla povertà assoluta delle famiglie e delle persone residenti in Italia e gli esiti dei redditi di cittadinanza e di emergenza comunicati dall’ Inps e dal rapporto Ministero del lavoro – Anpal.
A poca distanza dal decreto del governo Draghi che ha di recente stabilito il rifinanziamento dei redditi di cittadinanza ed emergenza e, nella sostanza, anche l’ampliamento della platea di potenziali beneficiari, gli autori si interrogano – numeri alla mano – sulla inefficienza della politica dei sussidi nel contrasto alla povertà economica.
Scarsa attinenza degli indicatori di reddito fiscalmente dichiarati rispetto alla concreta realtà, inconsistenza dei sistemi di controllo e criteri di calcolo ed erogazione che penalizzano i soggetti più deboli (si pensi ad esempio ai casi dei nuclei numerosi o ai limiti fissati per la partecipazione degli immigrati) sono i limiti e gli errori – derivanti da questioni politiche più che tecniche – che, secondo lo studio, maggiormente hanno concorso ad alimentare il divario tra la mole degli interventi mobilitati e l’effettivo conseguimento della sua finalità principale, vale a dire ridurre il numero di persone in condizioni di povertà.
Nonostante la critica radicale, l’Osservatorio e i suoi estensori non si fanno però promotori di un’abrogazione del reddito di cittadinanza, a maggior ragione tenuto conto della complessa realtà economica con cui il Paese dovrà fare i conti post COVID-19. Al contrario, la proposta è semmai quella di svuotare gradualmente gli spazi di intervento dello strumento, affidando ad altri ambiti del welfare (politiche educative, politiche attive per il lavoro e di sostegno alle famiglie) il compito di prevenire i rischi di impoverimento, così da ricondurre RDC e analoghi al ruolo che effettivamente compete loro: quello di interventi in ultima istanza.
Un passaggio fondamentale per evitare che l’Italia imbocchi una pericolosa deriva assistenzialista, in verità già ampiamente percorsa negli ultimi anni con finalità spesso squisitamente elettorali e che, soprattutto, rischia di portare a risultati del tutto opposti a quelli, prefissati almeno all’apparenza o comunque dichiarati a scopo propagandistico.
Come evidenziato dall’Osservatorio, non cavalcare o alimentare la povertà con aiuti fini a sé stessi, ma individuarne le cause e mettere in campo tutte le azioni, dalla formazione alla presa in carico, per contrastarla, è l’unica soluzione per assistere davvero a una riduzione delle statistiche in materia.