Doveva aprire una stagione di nuove liberalizzazioni ma è stata smentita da previsioni di segno opposto contenute in successivi provvedimenti legislativi. Tutto da rifare e parola al nuovo esecutivo: la legge sulla concorrenza tradita
di Alessandro Alongi
La concorrenza, questa sconosciuta. Si potrebbe riassumere così il travagliato epilogo della legge 124/2017 (c.d. «Legge sulla concorrenza») che ha introdotto novità (anche di una certa rilevanza) a favore della competizione. O almeno questo era il fine di quanto approvato dal Parlamento lo scorso anno. Sono passati infatti 12 mesi esatti dall’entrata in vigore del testo ma, nella sostanza, poco o niente è cambiato.
Non è bastata una gestazione lunga quasi mille giorni, il continuo ed estenuante andirivieni del provvedimento tra Camera e Senato, un voto di fiducia e una pubblicazione in Gazzetta Ufficiale in piena estate, ma la strada per la piena attuazione della Legge annuale per il mercato e la concorrenza è ancora in salita. O forse, per meglio dire, ad un punto morto.
Al plauso iniziale da parte della stessa Autorità Antistrust, che giudicava l’adozione delle norme come un passo avanti per la diffusione di una regolazione a favore della concorrenza all’interno dell’economia nazionale, sono rapidamente seguiti i primi rilievi critici all’impianto normativo così come approvato. La stessa Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, guidata da Giovanni Pitruzzella, non ha mancato di sottolineare come in alcuni importanti settori, quali, ad esempio, quello energetico, dei carburanti e dei trasporti locali, l’attuazione delle misure di liberalizzazione sia stata rimandata nel tempo o subordinata all’entrata in vigore di altre disposizioni attuative, ritardando (e, dunque, attenuando) gli effetti pro-concorrenziali della legge.
I dati dell’Ufficio per il programma di Governo parlano chiaro. E tracciano un resoconto impietoso: dei 28 provvedimenti delegati dalla Legge concorrenza al Governo ne sono stati approvati definitivamente soltanto 5, con effetti anche paradossali. È il caso, tanto per citarne uno, della liberalizzazione del mercato elettrico. La legge sulla concorrenza fissava l’avvio della liberalizzazione al luglio 2019, peccato essere smentita poco più tardi dal decreto «milleproroghe» che allungava ancora di un anno la definitiva chiusura del mercato tutelato (ora al 1° luglio 2020).
Altro colpo basso alla Legge sulla concorrenza è arrivato dall’ultima legge di bilancio, che ha reintrodotto un regime tariffario per taluni servizi professionali (avvocati, ingegneri, farmacisti ecc.., rientranti tutti nel c.d. equo compenso). Per i medesimi servizi la legge 124/2017 aveva però previsto la possibilità di esercizio di tali attività professionali in forma societaria, ampliando dunque la concorrenza tra professionisti a beneficio dei fruitori del mercato, sia in termini di aumento delle possibilità di scelta, che di costo del servizio. Tutto svanito, anche grazie ad un comma contenuto nell’ultima finanziaria, ovvero la previsione della doppia imposizione tributaria, per i singoli professionisti e per le società di professionisti cui gli stessi appartengono, cosa che di certo non spingerà la societarizzazione e costituirà disincentivo all’esercizio in forma societaria dell’attività professionale.
A beneficiare del «ritocchino» operato dalla legge di bilancio – contrariamente a quanto previsto qualche mese prima – anche i notai. La legge sulla concorrenza ha aumentato la distribuzione dei notai sul territorio attribuendo loro la possibilità di esercitare le proprie funzioni in tutta la regione. Ebbene, con l’ultima finanziaria il Parlamento ha introdotto una deroga alla disciplina sulla concorrenza sotto un’apparente finalità deontologica, rinviando sine die l’aumento di competitività nel settore.
L’elenco è ancora molto lungo. Il dietro front non ha risparmiato neanche il settore dei servizi postali (la legge sulla concorrenza 2018 ha abolito l’esclusiva di Poste Italiane del servizio di notifica delle multe, ma la legge di bilancio ha nel contempo riservato alla stessa società gli invii postali fino a 5 kg) e quello delle concessioni autostradali, nelle quali la legge di bilancio ha previsto la riduzione al 60% (rispetto al precedente limite dell’80%) delle commesse che devono essere acquisite mediante procedura ad evidenza pubblica. Per non parlare della riforma dei taxi (leggi Uber), tutto rinviato al 31 dicembre 2018. Meglio ancora è andato agli ambulanti, la cui contestatissima riforma è slittata addirittura al 2020.
Tutto da rifare insomma. Perché anche stavolta il celebre motto pronunciato dal Principe Don Fabrizio di Salina torna prepotentemente d’attualità: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».