di Francesco Scolaro
“I giornali hanno dato ampio spazio a ipotesi e previsioni relative alle eventuali dimissioni del Presidente della Repubblica. In realtà, i termini della questione sono noti da tempo. Il Presidente della Repubblica, nel dare la sua disponibilità – come da molte parti gli si chiedeva – alla rielezione che il 20 aprile 2013 il Parlamento generosamente gli riservò a larghissima maggioranza, indicò i limiti e le condizioni – anche temporali – entro cui egli accettava il nuovo mandato. Ciò non gli ha impedito e non gli impedisce di esercitare nella loro pienezza tutte le funzioni attribuitegli dalla Costituzione, tenendo conto anche della speciale circostanza della Presidenza italiana del semestre europeo. La Presidenza della Repubblica non ha pertanto né da smentire né da confermare nessuna libera trattazione dell’argomento sulla stampa. E restano esclusiva responsabilità del Capo dello Stato il bilancio di questa fase di straordinario prolungamento, e di conseguenza le decisioni che riterrà di dover prendere. E delle quali come sempre offrirà ampia motivazione alle istituzioni, all’opinione pubblica, ai cittadini.”
Le parole qui riportate costituiscono il testo del comunicato ufficiale del Quirinale reso pubblico domenica 9 novembre 2014. Come mai il Colle ha ritenuto necessario questa puntualizzazione, che non conferma né smentisce? Perché nei giorni scorsi, su vari mezzi di informazione, erano state riportate alcune ipotesi circa le eventuali dimissioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Il primo a trattare l’argomento (che, comunque, periodicamente torna di moda sulla stampa) è stato il giornalista Stefano Folli, su la Repubblica di sabato 8 novembre 2014. L’ex editorialista de Il Sole 24 Ore, fresco di trasferimento al quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, ha scritto di un Napolitano stanco che avrebbe deciso di chiudere prima del tempo la sua seconda esperienza al Quirinale, subito dopo il tradizionale messaggio di fine anno. Secondo Folli, “ora prevalgono le ragioni di salute, per cui ogni giorno trascorso nel palazzo costa un sacrificio di cui non tutti sono consapevoli. […] Ripete spesso due punti che gli stanno a cuore. Primo, non intende trovarsi a gestire una nuova crisi politica e di governo, non se la sente più di reggere gli sforzi fisici e mentali già sopportati nel recente passato. A maggior ragione — ed è il secondo aspetto sottolineato — egli non porterebbe mai il paese a nuove elezioni anticipate. Non ci sarà più uno scioglimento delle Camere da lui firmato. Toccherà eventualmente al successore decidere in merito. E il presidente ritiene che in democrazia il Parlamento deve essere pronto e capace in ogni momento di eleggere un’altra figura al vertice istituzionale.”
Una conferma è arrivata sia domenica 9 che lunedì 10 novembre dalle colonne del Corriere della Sera, a firma del giornalista (e “quirinalista”) Marzio Breda, secondo il quale eventuali dimissioni irrevocabili da parte di Napolitano durante uno degli ultimi eventi istituzionali del 2014 sarebbero “un’ipotesi più che sensata”. Dimissioni che dovrebbero essere preannunciate, molto probabilmente, inserendo un passaggio ad hoc nell’intervento durante l’incontro di fine anno con le più alte cariche dello Stato oppure all’interno del consueto messaggio del 31 dicembre. Le dimissioni formali potrebbero sopraggiungere pochi giorni dopo e diventare operative intorno alla metà di gennaio 2015.
Tornando per un attimo al comunicato del Quirinale, che non conferma né smentisce “nessuna libera trattazione dell’argomento sulla stampa”, è possibile individuare come passaggio fondamentale quello nel quale si fa riferimento ai “limiti” e alle “condizioni” entro cui Napolitano ha accettato il secondo mandato (mai nella storia repubblicana italiana un presidente uscente era stato rieletto), specificando che “i termini della questione sono noti da tempo” e che ciò “non gli impedisce di esercitare nella loro pienezza tutte le funzioni”. Insomma, oltre a ribadire la sua attuale completa capacità di azione, tra le righe si scorge un invito preventivo al mondo politico italiano ad evitare future pressioni sul Colle in vista di un ripensamento, che comunque verrebbe escluso categoricamente.
Quali che saranno i tempi scelti dal Capo dello Stato (che compirà 90 anni il prossimo 29 giugno) per lasciare il suo incarico, l’eredità che Napolitano affiderà al suo successore non sarà certamente di comoda gestione. Se si pensa agli ultimi 20 anni, dopo Scalfaro (che ha dovuto guidare l’Italia durante il periodo di Tangentopoli e delle stragi di mafia), Napolitano è stato sicuramente il Presidente che ha dovuto condurre le istituzioni italiane nei momenti di massima turbolenza economica e politica. Dalla chiusura largamente anticipata della legislatura iniziata nel 2006, alla crisi economico-finanziaria culminata con lo spread sopra i 300 punti nell’estate 2011 che portò alle dimissioni di Berlusconi e al successivo insediamento di Monti a Palazzo Chigi, dallo stallo istituzionale successivo alle elezioni del febbraio 2013 sbloccato faticosamente con la creazione del Governo Letta, fino alla successiva staffetta con Renzi del febbraio 2014, Napolitano è sempre stato un timoniere affidabile.
Ripensando a tutti gli avvenimenti degli ultimi 8 anni (Napolitano è Capo dello Stato dal 2006), non si dovrebbe fare fatica a comprendere la stanchezza – non solo fisica – di un uomo di 90 anni. E se i fatti politici degli ultimi tempi portano a prevedere probabili elezioni anticipate nel 2015, si comprende ancora meglio come Napolitano non abbia nessuna intenzione di guidare l’Italia attraverso una nuova fase di instabilità, che sancirebbe il fallimento di un’intera classe dirigente e politica, più che il fallimento degli obiettivi del suo secondo settennato. Anche alla luce di queste considerazioni, quando il Presidente della Repubblica deciderà di chiudere la sua (lunga) esperienza al Quirinale, tutti dovremo rispettare la sua scelta. Sarà poi compito della politica italiana governare quel momento storico, certificando di avere imparato la lezione del 2013 e dimostrando responsabilità, maturità e senso dello Stato.