Ve le ricordate le polemiche sull’abolizione dell’articolo 18 e sul jobs act? Coi sindacati e la sinistra più intransigente a fare le barricate, mentre il buon Matteo Renzi vedeva rapidamente eroso il grande consenso di cui godeva all’epoca, finendo poi per lasciare Palazzo Chigi, anche a seguito della pioggia di critiche che gli capitò fra capo e collo per quei provvedimenti, soprattutto da parte di molti suoi alleati.
Sono passati meno di sette anni, ma sembra di parlare di un’altra epoca. Oggi si possono varare norme sul lavoro di ben più ampia portata, nel silenzio generale. Non tanto perché nessuno si opponga alle nuove riforme, ma proprio perché nessuno si accorge che delle profonde riforme siano state varate. Una su tutte: l’abolizione dei contratti a tempo indeterminato.
Ma come? È stata approvata una norma del genere e nessuno lo ha detto? E, soprattutto, nessuno ha protestato? Eh già. Perché basta dargli un altro nome a quella norma. Così nessuno se ne accorge. Et voilà, les jeux sont faits! Rien ne va plus.
È una metodologia già sperimentata con successo da qualche anno. Per esempio nel 2018, quando il governo Conte Uno, sotto il titolo politicamente corretto di “Decreto Genova” – un decreto di emergenza varato, in fretta e furia, a seguito della tragedia del Ponte Morandi – inserì una norma che permetteva lo sversamento di fanghi tossici nei terreni agricoli. Una porcata che nulla aveva a che fare col crollo del ponte autostradale e che sicuramente sarebbe risultata indigeribile per l’opinione pubblica, ma non se ben nascosta fra gli aiuti alla popolazione ligure in difficoltà.
Allora si procedeva ancora con sotterfugi un po’ dilettanteschi, quasi vergognandosi, nascondendo certe norme tra i meandri delle carte burocratiche e sperando che nessuno poi se ne rendesse conto. Oggi, invece, la strategia si è fatta più sfacciata e sofisticata. Tutte le novità e le (contro)riforme, anche quelle più inaccettabili e che azzerano diritti secolari, si spiattellano con nonchalance alla luce del sole, forti del clima di emergenza perenne instauratosi negli anni venti del nuovo secolo, che può far passare tutto come “necessità sanitaria” e stigmatizza ogni voce critica come “complottismo”.
Questo vale, ad esempio, per l’abolizione dei contratti lavorativi a tempo indeterminato. Più che di abolizione sarebbe corretto parlare di sospensione temporanea di quella tipologia di contratto. Una sospensione temporanea di cui però non si capisce quando sia previsto il termine, la durata di questa “temporaneità” e che, pertanto, assomiglia tanto a un “fine pena mai”.
Ovviamente non vi è nessuna norma specifica che preveda in modo palese l’abolizione di tale tipologia di contratti, cosa che avrebbe provocato una forte reazione nei sindacati, nei lavoratori e probabilmente anche in diverse forze politiche. Tutto però viene realizzato comunque, anche se in modo surrettizio. Così da rendere tale abolizione – o perlomeno tale sospensione – operativa di fatto, anche se non di diritto.
Cos’altro è, infatti, l’obbligo di Green Pass per tutti i lavoratori – con la possibilità di sollevare il lavoratore dalle sue mansioni e dal suo stipendio – se non un modo di legare la durata del rapporto di lavoro non a quanto contrattualmente previsto, bensì alla durata di detto Green Pass? Una durata massima che è attualmente di nove mesi e che da febbraio sarà ridotta a sei. Questa è dunque, allo stato attuale delle cose, la durata massima di ogni rapporto di lavoro in essere in Italia, anche di quelli formalmente a tempo indeterminato.
Certo, si dirà, ma si tratta di un provvedimento temporaneo e dovuto a ragioni di salute pubblica. Sulle necessità di salute pubblica, però, è ormai accertato che anche i possessori di Green Pass e Super Green Pass possono contagiarsi e contagiare. Quindi, forse, in tal senso sarebbe stato molto più utile ed efficace un obbligo di mascherine FFP2 e di distanziamento su tutti i luoghi di lavoro, come suggerito anche dal professor Andrea Crisanti. Una scelta semplice, immediatamente applicabile, che non avrebbe provocato nessuna sospensione temporanea dell’effettiva durata dei contratti di lavoro, né di alcune tutele e diritti dei lavoratori. Come mai si è decisa una strada diversa, tra l’altro di più complessa applicazione?
Per quanto riguarda la temporaneità di quei provvedimenti, certo, formalmente lo stato di emergenza finirà a marzo 2022. Quindi per quella data, teoricamente, dovrebbero decadere tali disposizioni e dovrebbe decadere anche l’uso del Green Pass. Ma sarà davvero così? Come già evidenziato in altri nostri precedenti articoli, il governo si è già preoccupato di stabilire alcune disposizioni relative al Green Pass che restano valide fino all’agosto di quest’anno. Perciò ben oltre la data attualmente prevista per la fine dello stato di emergenza. Dunque siamo davvero sicuri che emergenza e Green Pass decadranno a fine marzo e non verranno prorogati sine die, dati anche i numeri dei contagi?
Infine, si dirà, il Green Pass è rinnovabile e, pertanto, il diritto del lavoratore di poter accedere al proprio luogo di lavoro e di percepire il giusto stipendio, è garantito non per soli 6 mesi, bensì per 12, poi per 18, 24 e così via. Sì, ma qualunque sia il numero di mesi – che da febbraio sarà un multiplo di sei – è comunque un numero finito. Dunque non possiamo più parlare di veri e propri contratti a tempo indeterminato, bensì di contratti a termine, per quanto lungo possa essere quel termine.
E quanto lungo sarà? E con quali modalità sarà possibile il rinnovo? Siamo sicuri che la durata del Green Pass resterà di sei mesi e non verrà ulteriormente ridotta? Siamo sicuri che, per rinnovarlo, in futuro sarà sufficiente il richiamo del vaccino e non sarà necessario altro, in base alle nuove mutazioni del virus e alle nuove eventuali norme emanate?
Il fatto che l’attuale governo abbia emesso ben cinque diversi decreti – ciascuno dei quali ha aggiornato e modificato il precedente – in soli quaranta giorni, lascia supporre che un numero imprecisato di nuove disposizioni saranno emanate di qui alla scadenza degli attuali Green Pass. E con le continue mutazioni del virus – già si parla di nuova variante Deltamicorn – non è da escludere interventi governativi di tipo totalmente innovativo, con nuovi e diversi obblighi per i lavoratori, oggi nemmeno ipotizzabili.
Dunque, in Italia, allo stato delle cose, non solo è attualmente sospeso di fatto ogni contratto a tempo indeterminato. È sospeso di fatto – anche se non di diritto – persino l’articolo uno della nostra costituzione. Al momento non siamo più, in senso pieno, una repubblica fondata sul lavoro, quanto piuttosto un paese fondato sul Green Pass e sulle imprevedibili mutazioni e varianti di un virus ancora semisconosciuto, oltre che sulle imprevedibili e spesso discutibili norme varate per contrastarlo.