Come temuto e profetizzato da LabParlamento appena qualche settimana fa, lo spazio virtuale creato da Facebook e denominato Metaverso (una realtà virtuale tridimensionale che viaggia sulla rete all’interno della quale ogni singolo abitante del pianeta può accedere e vivere in un mondo parallelo attraverso un avatar) si sta già rivelando pericoloso.
Come era assolutamente prevedibile, infatti, anche le piazze virtuali del Metaverso sono già diventate un luogo profondamente ostile alle donne. A metà dicembre Meta (il nuovo nome di Facebook, rebranding voluto da Mark Zuckerberg), ha inaugurato una piattaforma sperimentale di realtà virtuale chiamata Horizon Worlds, primo grande esperimento verso la costruzione di una nuova versione di Internet – Metaverso appunto -, in cui il mondo fisico e quello online si incontrano. L’accesso a Horizon è libero a chiunque abbia più di 18 anni e viva negli Stati Uniti e in Canada.
Su Horizon Worlds il proprio avatar si incontra e interagisce con un massimo di 20 persone, e può giocare, passeggiare e chiacchierare, creando ambienti digitali personalizzati. Ma non solo questo purtroppo.
Lo scorso mese una sperimentatrice ha lanciato il proprio grido di allarme affermando che, mentre si aggirava su Horizon Worlds, è stata avvicinata da un avatar sconosciuto che l’ha palpeggiata. La ragazza ha pubblicato tale esperienza nel gruppo di beta testing di Horizon Worlds aperto su Facebook per raccogliere i commenti degli sperimentatori.
“Le molestie sessuali, anche su Internet, non sono uno scherzo. Quanto avviene nella realtà virtuale aggiunge un altro livello, che rende l’evento ancora più intenso“, ha scritto la sfortunata protagonista. “Non solo sono stata molestata, ma c’erano altre persone che in quella piazza hanno sostenuto questo comportamento…” ha concluso.
La risposta di Meta a tali dichiarazioni è stata vaga, e si è limitata a sottolineare l’esistenza di possibili accortezze da poter utilizzare in questo nuovo mondo, ovvero l’attivazione di uno strumento chiamato “zona sicura” una sorta di bolla che non permette a nessuno di avvicinarsi all’avatar. Tale strumento, in definitiva, blocca il personaggio all’interno di uno spazio protettivo, cosa che però impedisce anche al protagonista di interagire con gli altri, limitando di fatto la sua esperienza virtuale. Una politica, come sottolineato da Arwa Mahdawisul dalle colonne del The Guardian, che equivale a dire alle donne che se non vogliono essere molestate mentre camminano per strada, dovrebbero semplicemente restare chiuse a casa.
Questo primo caso mette in luce l’assenza di regole nel mondo virtuale. Nel caso appena descritto, sarebbe ipotizzabile applicare le regole del Codice penale in fatto di molestie sessuali? La regolamentazione, infatti, non riesce a tenere il passo dell’innovazione, e le molestie nella realtà virtuale sono un’area grigia legale, dove tutto è permesso e nessuno è colpevole.