“Chi è Keyser Soze? Beh, pare che sia turco. C’è chi dice che il padre sia tedesco. Nessuno crede che esista davvero. Nessuno l’ha mai conosciuto, o visto qualcuno che abbia lavorato per lui. Ma a sentire Kobayashi chiunque avrebbe potuto lavorare per Soze. Non lo sapevano, era questo il suo potere. La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stata convincere il mondo che lui non esiste”.
Viene descritto così l’inafferrabile Keyser Soze, probabile autore di numerose ed efferatissime stragi, durante il lungo interrogatorio di polizia a cui viene sottoposto Roger Verbal Kint, uomo dall’aria innocua e impaurita, claudicante, con evidenti problemi psicologici, ma testimone chiave, spremuto dagli sbirri, per scoprire cosa si celi dietro alcuni terribili delitti che stanno sconvolgendo il paese.
È questo l’inizio de “I soliti sospetti”, pellicola del 1995, con un bravissimo Kevin Spacey nel ruolo di quello stralunato testimone. Un film-culto, in cui persino la scelta dell’attore protagonista sembra già essere una preveggenza, quasi magica, di ciò che sarebbe successo nel nuovo millennio, viste le vicende torbide e sorprendenti in cui Spacey è stato coinvolto – vent’anni dopo l’uscita della pellicola – con accuse mai del tutto chiarite, ma capaci di offuscargli la carriera.
Una cosa è certa, a riguardare il film da una certa distanza di tempo e di spazio, “I soliti sospetti” pare, sotto metafora, quasi la premonizione visionaria del – allora ancora di là da venire – secolo ventuno, di quelle vicende che, dal 2001 a oggi, hanno stravolto il mondo e provocato sgomento e lutti un po’ ovunque, in modo spesso crudele, destabilizzante, spettacolare e inatteso.
Vicende che si sono lasciate dietro un alone di mistero, un retrogusto non totalmente convincente, il dubbio che tutto possa essere una cosa, ma anche il suo contrario e che i fatti non vengano raccontati in modo pienamente corretto. Il dubbio, che le cose siano vere e contemporaneamente false, forse sceneggiate, forse inventate di sana pianta, che forse i carnefici siano in realtà le vittime, i testimoni i complici, le vittime i carnefici. E che ci sia sempre un misterioso e inafferrabile Keyser Soze ad operare nell’ombra, all’insaputa di tutti, nel ruolo di diabolico e feroce burattinaio.
Può darsi che gli sceneggiatori di quell’opera cinematografica fossero dei medium. Oppure può darsi che si tratti della classica “profezia auto avverante” e che, visto il successo mondiale della pellicola, il plot di quella storia abbia involontariamente forgiato le anime dei nostri contemporanei e condizionato le scelte e le analisi di tutti noi, incluse quelle di chi guida il mondo. Fatto sta che, ora, per chi non lo avesse mai visto, è giunto il momento che io spoileri la trama e il finale del film, per non rischiare poi di non capirci.
Dunque, dicevamo che quella pellicola prende le mosse dalla testimonianza rilasciata alla polizia da uno strano testimone, che aiuta le forze dell’ordine a ricostruire il quadro di una serie di stragi e di delitti, di cui il film – partendo proprio dalle parole del testimone – ricostruisce nel dettaglio le dinamiche.
Tutto, alla fine, sembra quadrare. Perciò Roger Verbal Kint viene creduto e lasciato libero di andare via dal commissariato, salvo accorgersi – ma solo nelle ultime scene – che tutto il suo racconto era totalmente inventato, che fatti, nomi e luoghi da lui dichiarati, erano in realtà scopiazzati da quanto quel testimone leggeva attorno a sé nella stanza dell’interrogatorio, su alcuni ritagli di giornale e sull’altro materiale presente in quella sala e che – scoperta ancora più agghiacciante – forse il terribile Keyser Soze era proprio quell’insospettabile, apparentemente innocuo e apparentemente ingenuo testimone, resosi ormai uccel di bosco.
Come spesso avviene, il vero colpevole aveva dunque disseminato il suo percorso criminale di prove lampanti della propria colpevolezza – i nomi e i luoghi falsi, copiati dalle scritte presenti nella stanza, dunque facilmente verificabili e confutabili – quasi per senso di colpa, quasi a voler essere finalmente scoperto e smascherato, fermato dalla polizia. Però, chi investigava su quei fatti criminosi, non era stato in grado di accorgersene in tempo.
Eppure, il film è costruito in modo tale da lasciare dei dubbi anche su questa interpretazione delle cose. Perché, a guardare bene, il finale stesso – con la scoperta dei nomi falsi inventati da Kint – potrebbe essere anch’esso una finzione, un’invenzione visionaria, un depistaggio. Forse Verbal Kint non è realmente Keyser Soze, come a un certo punto sembrerebbe evidente, ma solo un mitomane. Forse è tutta la storia che in realtà non esiste, quasi fosse un sogno.
E poi chi è quel Kobayashi che va a prelevare Kint in macchina, davanti al commissariato, nell’inquadratura finale, se Kobajashi – come si era appena scoperto nella scena precedente – in realtà è un personaggio inventato ed è solo il nome di una marca di oggetti in ceramica? Il film non lo chiarisce.
Dunque, in sintesi, “I soliti sospetti” pare essere l’apoteosi assoluta del “complottismo”, una storia in cui tutto ciò che appare vero potrebbe anche essere falso, in cui tutto ciò che appare falso potrebbe anche essere vero, senza che nessuno giunga mai a chiarire fino in fondo dove sia la verità e dove la bugia, dove sia il bene e dove il male, dove finisca la narrazione fantastica e dove comincino i veri fatti, chi sia la vera vittima e chi il vero colpevole.
Perché, in quel film, verità e menzogna, bene e male, concretezza e illusione, sono tutti concetti che s’intrecciano, si confondono, si scambiano continuamente di posto, in un balletto infinito e totalmente destabilizzante.
KEYSER SOZE E L’UNDICI SETTEMBRE
Ecco perché “I soliti sospetti” pare essere la premonizione, inconsapevole, dell’imminente nuovo millennio, di quel secolo iniziato l’11 settembre del 2001 – sei anni dopo l’uscita del film – quando l’America venne attaccata da aerei che portavano sulle loro fiancate, non le insegne di un paese nemico, ma la rassicurante, innocua e familiare scritta “American Airlines”.
I Boeing che abbatterono le Torri Gemelle sono dunque proprio come Verbal Kint: insospettabili, inoffensivi in apparenza, ma ingannatori, feroci e crudeli portatori di morte. Eppure, proprio per questo, proprio come avviene per il racconto di Verbal Kint, alla fine qualcosa non torna. Dei dettagli appaiono inverosimili, dei nomi sembrano inventati e quella che, per tutta la durata della storia, abbiamo creduta essere la verità, non ci convince più. Dunque, quello che abbiamo visto e che ci hanno raccontato è stato tutto un bluff, un gioco illusorio di specchi e di fantasie?
In molti, dopo l’undici settembre, hanno messo fortemente in dubbio la versione ufficiale che degli eventi ci è stata narrata come vera, con ampia dovizia di particolari. “Ma che fine ha fatto il quarto aereo, quello scomparso nel deserto e mai mostrato nelle immagini di nessuna TV?” si è chiesto qualcuno. “Come può un Boeing passare per un buco tanto piccolo e poi disintegrarsi, come accaduto al Pentagono?“ si è chiesto qualcun altro.
Forse ha ragione chi se lo è chiesto, o forse no. Forse Verbal Klint è veramente Keyser Soze, o forse no. E forse Kobajashi esiste, o forse no. Nessuno può dirlo con assoluta certezza, senza che nel suo di racconto, nella sua di versione, per quanto attenta, ricca di prove, di documentazione e di dettagli, qualche elemento non stoni, non risulti del tutto convincente e non si incastri totalmente con gli altri pezzi del puzzle. Che si tratti della versione ufficiale dei fatti, o di qualunque altra teoria, più o meno “complottista”.
KEYSER SOZE E GLI ATTENTATI DI PARIGI
Lo stesso vale per la lunga scia di sangue che ha scosso l’Europa – e in particolare la Francia – e il mondo intero, per circa una decina di anni. Charlie Hebdo e il Bataclan, la stazione di Atocha, la metropolitana di Londra, il lungomare di Nizza. Il pianeta sembrava completamente in mano a migliaia di ferocissimi fanatici, con coperture e ramificazioni ovunque. Organizzatissimi, imprendibili, abilissimi nel realizzare piani diabolici, salvo solo dimenticare, su qualche autovettura da loro usata per il colpo, i propri passaporti, con nomi, cognomi, indirizzi e numeri di telefono.
Eppure, nonostante quelle sviste clamorose, il loro ghigno di morte pareva non fermarsi: gli attentati proseguivano sempre più numerosi e tutti noi ci sentivamo costantemente in pericolo, ovunque ci trovassimo, per il solo fatto di essere occidentali. Ci chiedevamo, perciò, chi fosse il feroce Keyser Soze che guidava quei terroristi, cosa volesse, cosa lo spingesse a compiere gesti tanto efferati, come si potesse fermarlo. Finché un giorno, come niente…
“Keyser Soze uccide i loro figli, uccide le loro mogli – dice Verbal Klimt a un certo punto del proprio racconto – uccide i loro genitori e i loro amici, brucia le case in cui vivono e i negozi in cui lavorano, uccide persino le persone che gli devono dei soldi… E come niente… puff… sparisce! Un clandestino. Nessuno l’ha più visto da allora!”.
Anche a Parigi e nelle altre città del pianeta è andata così. Quel Keyser Soze jihadista, colui che terrorizzava il continente europeo e il mondo intero, è scomparso nel nulla proprio come era apparso. Dal giorno alla notte: fine degli attentati in ogni centro città, fine delle bombe nelle capitali europee o nel resto del pianeta, fine dei kamikaze islamici. E fine dei passaporti dimenticati sulle macchine. Puff…
KEYSER SOZE E LA PANDEMIA
Se Keyser Soze sparisce all’improvviso come jihadista, però, il suo feroce bisogno di sangue non può di certo restare sopito a lungo. Soze ha bisogno di ricomparire, prima o poi, magari sotto nuove forme. E così, sul finire del 2019, si ricomincia a parlare di lui. Qualcuno ne segnala la presenza in una – fino a quel momento poco nota – località della Cina: Wuhan.
Ecco che la terra è di nuovo sconvolta dalla sua scia di morte. Pare che stavolta Keyser Soze abbia scelto il modo più vigliacco e subdolo di seminare terrore: attraverso un terribile virus letale, creato segretamente in laboratorio. “Ma quale laboratorio? È un virus nato in natura e che ora sta solo mutando spontaneamente, come accade ai virus, trasmettendosi così anche all’uomo”.
Si cerca ansiosamente un antidoto, si cerca un vaccino per frenare quella nuova peste e per arrestare la catena di morte. Faticosamente lo si trova. Però, a quel punto, qualcuno instilla il dubbio che sia proprio il vaccino il vero virus e che il virus, di suo, in realtà non esista, ma sia solo il racconto fuorviante di un Verbal Kint, il suo ennesimo depistaggio: “È il grande reset, vogliono ucciderci tutti, o trasformarci in degli automi”. È davvero così? I lupi si sono travestiti da pecora e i diavoli da angeli, per poterci meglio sterminare?
In un ennesimo gioco di specchi, verità e finzione si confondono, la fantasia più sfrenata e inverosimile si mescola ai fatti reali, in un mix inscindibile e incomprensibile, in cui ogni cosa è bianca e al tempo stesso nera. Il virus sembra essere il nemico, ma il vero nemico può sembrare anche il suo supposto antidoto. E poi chi è in realtà Verbal Kint? È lui il vero Keyser Soze? Oppure è solo un onesto testimone, che tenta di aiutare le autorità di polizia e tutti noi? Com’è finito davvero quel vecchio film? Chi è il vero colpevole?
Ci si chiede tutto questo, cercando disperatamente una risposta, cercando un senso a quanto vediamo accadere davanti a noi, a quanto ci sembra di vedere sotto i nostri occhi, senza essere mai certi se tutto sia davvero come ci appare, oppure se sia solo un ologramma, un abbaglio, un funesto “Truman Show”, un subdolo “Deep Fake”.
Siamo lì, sempre più confusi ed angosciati, a chiedercelo, quando, all’improvviso, come niente, proprio come accaduto già in passato, ecco che… Puff… Dov’è finito Keyser Soze? Dov’è finito il virus? C’è ancora la pandemia? Dov’è l’ologramma e dove il “Truman Show”? Chi aveva ragione? Chi aveva torto? Nessuno lo sa più con certezza. Nessuno ne parla più.
“La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stata convincere il mondo che lui non esiste… E come niente… puff… sparisce!”
Qualcuno ora dice che Keyser Soze sia fuggito in Transnistria, per arruolarsi volontario, sotto falso nome, nella guerra scoppiata fra russi e ucraini. Quello che è sicuro, è che la sua storia non è ancora finita e che non finirà, per almeno un millennio. I fantasmi non muoiono mai, Non possono morire. Perciò, prima o poi, sentiremo ancora parlare di lui, di Keyser Soze. Chiunque egli sia davvero. E quel giorno, possiamo starne certi, non sarà un bel giorno.