Abituati a indossare i panni dei commissari tecnici della nazionale di calcio, dei ministri e ora dei virologi, gli Italiani coltivano da sempre una particolare predilezione per un altro argomento da bar sport, tipico in questo periodo dell’anno: l’Esame di Stato. In effetti, non latitano mai dalle nostre parti esperti di didattica pronti a suggerire la riforma di turno.
L’agone è affollato e annovera improvvisati pedagoghi di orientamento opposto: il nostalgico del vecchio rito di passaggio che, sulle note di Venditti, rievoca la notte prima degli esami; l’iconoclasta che raffina il proprio prosaico desiderio di partire per le vacanze invocando la tabula rasa di quest’orpello ottocentesco; il moderato che rifiuta l’intransigenza del partito sentimentale e di quello rivoluzionario celebrando orazianamente i diritti della giusta misura: rinnovare senza rinnegare, adattando alle esigenze dei tempi.
A quest’ultimo fronte, non senza i tentennamenti che hanno caratterizzato le sue quotidiane uscite pubbliche, pare si sia iscritto il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, vessillifero dell’ultim’ora della maturità light, sperimentata l’anno scorso e riproposta ora, appena con qualche spolverata di novità, giusto per dare l’impressione di essere di pasta diversa da quelli di prima.
A rischio di apparire alla stregua di un improvvisatore che va dove porta il vento, Bianchi sventola per l’occasione la bandiera passepartout che porta in dono il quarto d’ora di consenso: la concertazione con gli studenti. Quanti ritengono ancora che occorrerebbe, in quest’ambito, un poco almeno di vista lunga, per non usare espressioni démodé quali programmazione o strategia, meritano a giusto diritto di essere tacciati di polveroso anacronismo: “sto avendo riscontro positivo dai ragazzi”, assicura il ministro, ospite del programma Agorà: “avere tempo per articolare un pensiero complesso, questa è la maturità”.
A dispetto di simili sentenze sapienziali, non si capisce in base a quale sillogismo barocco si possa affermare che, senza le prove scritte (la prima, di norma, uguale per tutte le scuole e la seconda d’indirizzo) e con il solo orale, preparato alla bell’e meglio, partendo da un argomento stabilito in zona Cesarini, quest’esame in pillole abbia il pregio di preparare “all’università, al lavoro ed altre possibilità di crescita”.
Non è il caso di maramaldeggiare sul ministro che attribuisce ai “Consigli d’Istituto” (sic), invece che ai Consigli di Classe, il compito di circoscrivere le tematiche da sottoporre agli studenti. C’è piuttosto da sorridere sulle dichiarazioni di principio apodittiche a cui il ministro ci sta abituando, che si giustificano solo con la fiducia quasi dogmatica nelle proprietà taumaturgiche accordate ai percorsi del cosiddetto PCTO (l’acronimo di prammatica studiato per disorientare i non-addetti ai lavori, dando però l’impressione solenne di una cosa seria: i “Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”) o ancor più al trionfale ingresso – una conquista, va detto, del tutto bipartisan – dell’Educazione civica tra le discipline oggetto del colloquio.
Grazie ad essa i maturandi potranno celebrare i radiosi orizzonti della pace del mondo, dell’inclusione, dell’emancipazione femminile e così via: tutti argomenti importanti e delicati, banalizzati nella melassa del birignao politicamente corretto.
Come per la didattica a distanza, anche per l’Esame di Stato, dunque, l’emergenza dovrebbe essere una risorsa, visto che Bianchi garantisce che il nuovo corso non è la conseguenza di condizioni contingenti ma un modello da tenere in considerazione per il futuro. Del resto, comunque vada, gli insegnanti sanno bene che con l’avvio del nuovo anno scolastico scatterà il consueto balletto di ipotesi e, con esso, il dibattito evergreen sulla natura, sugli scopi e sull’opportunità stessa del carrozzone-Maturità.
I più ottimisti sono convinti che stavolta si faccia sul serio: c’è da superare l’impasse e stabilire una volta per tutte come chiudere il ciclo dell’istruzione secondario e preparare l’ingresso in società dei nostri giovani. A ben vedere, però, la questione è oziosa. A quanti ritengono che sia giunto il momento di riscrivere le regole per i prossimi anni, può essere utile recuperare la massima di un tagliente fustigatore dei vizi nazionali come Giuseppe Prezzolini: “In Italia non c’è nulla di più definitivo del provvisorio e nulla di più provvisorio del definitivo”.