Postare video e immagini della figlia violando un numero record di norme: è questo l’invidiabile primato stabilito da una donna che, pubblicando senza il consenso dell’ex coniuge diverse fotografie della figlioletta di appena 9 anni su Tik Tok, ha violato sistematicamente norme nazionali, europee e internazionali.
Le immagini dei bambini, per essere pubblicate sui social, infatti, necessitano dell’accordo di entrambi i genitori e, comunque, non devono ledere la dignità dei ragazzini. Se così non è – come nel caso sottoposto al giudizio del Tribunale di Trani – si incorre in diverse censure, prima fra tutte la violazione dell’art. 10 del codice civile, riguardo la tutela dell’immagine personale, per poi passare agli artt. 1 e 16 della Convenzione di New York del 1989, che stabiliscono come “Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione”.
Non di meno, una condotta così spregiudicata attenta all’art. 8 del Regolamento privacy (c.d. GDPR), che considera l’immagine fotografica dei figli un dato personale a tutti gli effetti e, ai sensi del c.d. Codice della Privacy (e specificamente dell’art. 4 del D.Lgs n. 196/2003) sancisce che la sua diffusione integra un’interferenza nella vita privata, sicché nel caso di minori di 16 anni, è necessario che il consenso alla pubblicazione di tali dati sia prestato dai genitori, in vece dei propri figli, concordemente fra loro e senza arrecare pregiudizio all’onore, al decoro e alla reputazione dell’immagine del minore stesso. In tale prospettiva, il legislatore italiano, all’art. 2 quinquies del D.Lgs. 101/2018 (altra norma violata) ha fissato il limite di età da applicare in Italia a 14 anni.
L’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi, in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto online, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati. Come affermato già da qualche anno dalla giurisprudenza, infatti, il pregiudizio per il minore è insito nella diffusione della sua immagine sui social network.
A nulla giova – è stata la difesa della donna – che l’altro genitore fosse in possesso della password di accesso al social network e, quindi, fosse in grado in qualsiasi momento di verificare cosa venisse messo online: per pubblicare le immagini dei figlioletti ci deve essere il consenso, esplicito, di padre e madre. Per i giudici non si fugge da ciò, e non importa nulla se la piccola fosse l’orgoglio estremo di una mamma, forse cresciuta negli anni ’80 quando le proprie coreografie al suono degli Spandau Ballet rimanevano chiusi nel segreto di una cameretta e non potevano essere apprezzate dal pianeta intero. Video, foto e altro materiale digitale possono rappresentare un pregiudizio per l’innocenza beata dei più piccoli che, stante la pervasività dei nuovi mezzi di comunicazione, rischiano di vedere la propria immagine inconsapevolmente diffusa in tutto il globo.