Nel mezzo secolo appena trascorso, gli interventi apportati – con numerose riforme – non sono risultati forieri di un qualche miglioramento.
Sono forse aumentati nel frattempo, o migliorati, prestigio, rispetto, retribuzione, previdenza, capacità attrattiva della professione, sicurezza, condizioni di lavoro (inclusività e multietnicità), burocrazia, contratto, educazione alunni, tutela della salute professionale, rapporti docenti-dirigente scolastico, rappresentanza sindacale, rapporti scuola-famiglia e via discorrendo?
Lasciamo tranquillamente rispondere al popolo docente ma dubitiamo che risulti affermativa anche una sola risposta. Un bilancio disastroso. Se poi ci spostiamo sul piano politico, pur senza andare troppo indietro nel tempo, ci ricordiamo del forte dissenso suscitato dalla cosiddetta riforma della “Buona Scuola”, giunta peraltro dopo un voto politico nazionale quasi plebiscitario da parte degli stessi insegnanti a favore del partito che la sosteneva.
La storia si è ripetuta nelle successive elezioni politiche del 2018 quando gli insegnanti, scottati dalla succitata riforma, finivano per riversarsi in massa a dare il proprio consenso e premiare il nuovo partito che – a parole – li avrebbe sostenuti. Peccato che una volta al potere i “nuovi giunti” assumevano come priorità quella di adottare il cosiddetto Reddito di Cittadinanza (RdC) invece di sanare quella grave ingiustizia che vede gli insegnanti italiani come i peggio retribuiti nella UE da oramai molti anni.
Una vera disdetta poiché l’ingente somma impegnata nell’operazione sarebbe stata sufficiente e funzionale a cancellare una vergogna tutta italiana e a mettere il primo tassello per il riscatto della scuola pubblica.
Ma se la politica non ha la vista lunga i governi tecnici non hanno apportato maggior fortuna: il contratto di lavoro odierno, scaduto da quasi due anni, non viene rinnovato e si ventila (non è la prima volta) di introdurre un metodo di valutazione dei docenti.
Viene, dunque, il sospetto che si tratti del solito ricatto a orologeria: ti aumento di pochi euro la retribuzione ma, in cambio, ti levo lo spauracchio del “sistema di valutazione”. Ricordiamo quando Mario Monti allora primo ministro (in trasmissione su Rai 3 il 25 novembre 12), affermava che gli insegnanti erano “corporativi, poco disponibili ed egoisti” perché non volevano allungare, senza contropartita, il loro orario di lavoro?
Solo noi continuiamo ad insinuare nell’opinione pubblica la bugiarda convinzione che il lavoro dell’insegnante si esaurisce una volta ultimate le ore di docenza frontale. Sarebbe come dire che il giudice lavora solo quando assiste a un’udienza.
Questi sono gli stereotipi che contribuiscono a tenere basse le orecchie di una categoria che non ha il coraggio di rialzarsi, che si vergogna a dire che le vacanze di cui fruisce non sono tali ma un penoso periodo di convalescenza.
Si tratta invero di uno sforzo che schianterebbe chiunque dopo nove mesi di usura psicofisica con la medesima utenza problematica per le famiglie sempre più in difficoltà o semplicemente in crisi per problemi di crescita o adolescenza dei fragili e insicuri giovani che ambiscono a divenire persone adulte.
Come, poi, dimenticarci degli improvvidi attacchi alle singole categorie professionali? Le maestre della scuola dell’infanzia e della scuola primaria – per esempio – vengono oggi sottoposte a indagini per presunti maltrattamenti a scuola cui seguono infiniti e “massmediatici” procedimenti penali, quando bastava un perentorio intervento del dirigente scolastico.
Sentenze contrastanti di condanna, poi assoluzione e poi ancora condanna e viceversa, tra primo grado, appello e Cassazione, stanno a dimostrare che la materia (educazione/sostegno/insegnamento) è assai complessa e non può essere lasciata in mano a inquirenti non-addetti-ai-lavori.
Tutto ciò senza dimenticare che queste indagini vengono effettuate col ricorso ad audiovideointercettazioni nascoste che di recente sono state finalmente contestate in ambito politico e giornalistico perché ci si è accorti che consentono un “taglia e cuci” (vera e propria manipolazione) col quale è possibile dimostrare tutto e il suo contrario, finendo per contraffare e mistificare la realtà che ne esce gravemente alterata e ben lontana dalla veritiera rappresentazione dei fatti.
Riguardo alla questione a me più cara, ovvero la salute professionale dei docenti, mi rivolgo all’attuale ministro chiedendogli se è a conoscenza di quali siano le malattie professionali degli insegnanti e soprattutto se, all’alba del terzo millennio, non sia finalmente giunto il momento di verificarle, riconoscerle, prevenirle, indennizzarle, infine riconoscere un’adeguata previdenza alla categoria professionale.
A questo proposito chiedo al ministro il suo diretto intervento per ottenere quei dati nazionali dell’ultimo decennio sull’inidoneità al lavoro a disposizione del Ministero Economia e Finanze. L’Ufficio III del dicastero in questione si ostina, da oltre sei anni, a negarli a tutti (università, sindacati, ricercatori), adducendo futili giustificazioni e impedendo di conoscere le vere diagnosi che determinano l’inidoneità/inabilità lavorativa per motivi di salute accertate dai Collegi Medici di Verifica nei capoluoghi regionali.
Tornando invece alla questione del contratto da rinnovare, ritengo che la categoria professionale debba cominciare a impegnarsi, nelle forme più indicate, per uscire dall’incantesimo nel quale appare addormentata. Occorre attivarsi subito – anche in vista del vicino voto politico – per
- Rinnovare il contratto con adeguata retribuzione (es. adeguamento a UE se abolito RdC)
- Riconoscere ufficialmente le malattie professionali sulla base dei dati MEF (vedi sopra)
- Ottenere l’impegno a ridiscutere la previdenza dopo il riconoscimento malattie professionali
Va da sé che, in vista delle prossime elezioni politiche, il popolo docente potrà strategicamente impegnarsi a supportare chi adesso realizzerà fattivamente i suelencati punti programmatici.
PS Poiché alcuni insegnanti mi hanno scritto che non sono favorevoli all’abrogazione del RdC, in quanto misura di utilità sociale, mi sento di rispondere che lo Stato non può fare beneficienza coi soldi spettanti ai lavoratori (ad es. i docenti sottopagati), ma deve riconoscere “unicuique suum”. Chi poi desidererà fare beneficenza avrà modo di procedere coi propri soldi nel modo che ritiene più opportuno, anche operando a vantaggio del prossimo.