Una vita spezzata deve per forza avere una spiegazione, non può cadere nell’oblio che tutto ingoia. Del professore che giorni fa si è defenestrato dal terzo piano della scuola per geometri di Licata si è detto poco nei numerosi articoli che hanno trattato la triste vicenda: uomo, quarantasettenne, affetto da depressione, appena assegnato alla biblioteca dopo il demansionamento decretato in Collegio Medico di Verifica (CMV), (forse) ai ferri corti col proprio dirigente scolastico. Decisamente scarsi questi elementi per trarre conclusioni definitive. Tuttavia, possiamo prendere importanti spunti per affrontare spinose questioni che da alcuni decenni restano in sospeso.
- La prima domanda che ci dobbiamo porre è se la modalità scelta per porre fine alla propria esistenza è ricorrente tra chi esercita la professione docente. Questo interrogativo è d’obbligo da quando Francia (2005) e Regno Unito (2009) hanno constatato che, tra tutte le categorie professionali, il rischio suicidario più alto risiede proprio tra gli insegnanti. L’Italia al contrario non ha mai prodotto dati nazionali in merito alla questione, rifiutandosi perfino di elaborare statistiche sulle inidoneità lavorative per motivi di salute.
- La diagnosi di “depressione” riportata sui quotidiani dovrebbe invece interrogarci sull’origine della stessa: prevale la matrice professionale o quella relativa alla vita privata? Anche in questo caso non è dato sapere, ma la decisione di mettere in atto l’insano gesto sul posto di lavoro, non sembra lasciare spazio a interpretazioni di sorta. Comunque sia c’è un altro dato che parla chiaro: i pochi studi scientifici pubblicati in Italia ci raccontano che l’usura psicofisica degli insegnanti è così alta da: a) superare di gran lunga quella delle altre professioni (La Medicina del Lavoro N. 5/04); b) essere presente in tutti i Paesi a prescindere dal sistema scolastico adottato; c) essere identica in tutti gli ordini dalla scuola dell’infanzia alla superiore di II grado; d) abbattere la pur cospicua differenza tra i generi circa l’esposizione alla patologia ansioso-depressiva (che fisiologicamente, per gli ormoni della fertilità pone le donne a un rischio più che doppio rispetto agli uomini).
- La decisione di porre fine alla propria vita sembra essere stata assunta dal docente non appena decretato il suo demansionamento in CMV con l’assegnazione alla biblioteca. Tuttavia, l’Accertamento Medico d’Ufficio (AMU) è stato richiesto dal dirigente al solo scopo di tutelare la salute del lavoratore. Purtroppo, la cosa non è risaputa tra i docenti proprio perché i dirigenti stessi omettono di adempiere al loro compito di formare i sottoposti in materia medico-legale come previsto dall’art. 37 del DL 81/08. Verosimilmente ci troviamo di fronte a una corretta decisione del DS che si è rivelata drammatica proprio per la mancata formazione. Se poi i rapporti tra dirigente e professore (come ventilato) erano tesi, sarebbe stato fondamentale – a maggior ragione – far comprendere, attraverso la formazione, che l’AMU non era, né poteva essere un atto di mobbing.
In generale dobbiamo ricordare che l’usura psicofisica dipende principalmente dalla professione svolta e non da variabili esterne quali il sistema scolastico adottato, l’ordine di studi in cui si insegna, il genere del docente. Ricordiamo che la professione dell’insegnante ha una peculiarità unica rispetto a tutte le altre: la tipologia del rapporto con l’utenza. Non esiste infatti altra professione in cui il rapporto con l’utenza, e per giunta la medesima utenza, avvenga in maniera così insistita, reiterata e protratta per tutti i giorni, più ore al giorno, 5 giorni alla settimana, 9 mesi all’anno, per cicli di 3/5 anni.
In altre parole, è come se il docente si sottoponesse quotidianamente a una Risonanza Magnetica Nucleare operata da tante paia di occhi quanti sono i suoi stessi alunni/studenti. In questa particolarissima tipologia di rapporto, per di più, l’insegnante invecchia, mentre lo studente (col rinnovarsi dei cicli di studio) ringiovanisce: un “effetto Dorian Gray” capovolto. Si consideri poi la permanente asimmetria del rapporto medesimo che condizionerà l’insegnante, rendendolo poco capace di sviluppare una relazione tra pari (con colleghi) per condividere il disagio mentale.
Da parte delle Istituzioni italiane, purtroppo, non c’è ancora nessun riconoscimento ufficiale della situazione di profondo disagio psicofisico, né delle malattie professionali. Ne discende la contestuale mancanza di un piano di prevenzione nonostante il DL 81/08.
Di fronte a questa realtà di totale ignoranza in materia di malattie professionali sono state altresì attuate quattro riforme previdenziali “al buio” (Amato, Dini, Maroni, Monti/Fornero) nel giro di 20 anni (1992-2012) passando da un estremo all’altro (abolizione delle baby-pensioni e quiescenza a 67 anni).
Si suggerisce pertanto di seguito una ricetta semplice, e a basso costo, a base di: ricerca clinica, formazione personale (docenti e DS), prevenzione nel Documento di Valutazione del Rischio e supporto DS
RICERCA CLINICA. L’azione prevede uno studio epidemiologico retrospettivo nazionale sulle inidoneità lavorative per motivi di salute.
FORMAZIONE DOCENTI. I docenti vanno resi edotti in materia di malattie professionali, sulla prevenzione, sulla sintomatologia d’esordio, nonché sugli strumenti istituzionali a disposizione per contrastare il disagio psicofisico (visita dal medico competente, accertamento medico in CMV, ricorso alla CMO, diritti e doveri nel caso di accertamento medico d’ufficio).
FORMAZIONE E SUPPORTO AI DIRIGENTI SCOLASTICI. I dirigenti dovranno ricevere la stessa formazione dei docenti più un modulo specifico sulle loro incombenze medicolegali. In aggiunta riceveranno una ASSISTENZA MEDICO-LEGALE attraverso uno sportello centrale del MIM, o dei singoli USR, che è a disposizione per risolvere le questioni medicolegali di loro spettanza (su tutte la più spinosa è certamente quella riguardante l’art.3 c. 3 DPR 171/2011 che impone ai dirigenti scolastici di “avviare l’accertamento medico quando sono presenti disturbi del comportamento gravi, evidenti e ripetuti, che fanno fondatamente presumere l’esistenza dell’inidoneità psichica permanente assoluta o relativa al servizio”.
È giunto il tempo di rifuggire dagli insulsi stereotipi che gravano sugli insegnanti, facendo invece tesoro dei segnali preoccupanti che giungono dal mondo e, in particolare, dal nostro Paese addormentato (istituzioni, politica, sindacati e associazioni). Solo così potremo dare un senso alla morte, anzi al sacrificio, dei tanti “professori di Licata” che si spengono inutilmente nel silenzio generale. Che questo non resti l’ennesimo “milite ignoto” della scuola.