Il governo, con il Dl “Super Green Pass”, ha scritto un nuovo capitolo della lunga lotta alla pandemia. Il decreto introduce un pass sanitario rafforzato, limitato ai soli vaccinati, per l’accesso a numerose attività prettamente socializzanti, dalle piste da sci ai ristoranti, dai teatri agli alberghi. Il tampone consentirà di ottenere un green pass base, valido cioè per lavorare, recarsi all’università o prendere il treno.
Tralasciando la questione prettamente di cronaca occorre concentrarsi su un tema piùcomplesso: esistono ancora i diritti? Il problema non è di poco conto se si considera che, ormai da quasi due anni, viviamo tra costanti limitazioni delle libertà fondamentali, prima generalizzate e indiscriminate, oggi, almeno così pare, selettive.
Ma è davvero così? La Costituzione si costruisce su un principio che è quello della anteriorità dei diritti. Tale principio, alla base del dettato dell’articolo 2, non va letto in un’ottica giusnaturalista per cui i diritti ci sono perché connaturati alla natura umana quanto bensì nel senso per il quale la Costituzione, nella sua qualità di patto tra forze politiche volto a regola la società costituenda del 1948, aveva lo scopo, la funzione primaria, di costruire un nucleo inviolabile di diritti della persona, e non già del cittadino, la cui spettanza sarebbe stata assicurata a prescindere da qualsiasi successivo intervento di legge.
La costituzione doveva creare cioè un insieme di diritti indisponibili al legislatore, sottratti alla sua discrezionalità politica, nelle mani comunque della persona, quale destinataria dei diritti stessi. La violazione della inviolabilità di questi diritti avrebbe significato superare lo stesso patto costituzionale, la stessa costituzione.
L’assunto di partenza, fino al marzo 2020 quasi unanimemente accettato, sembra essere oggi quasi del tutto superato.
Il meccanismo del green pass, sul quale ho sempre nutrito dei dubbi, e chi mi ha fatto pensare dagli albori che fosse preferibile un obbligo di vaccinazione, per categoria o erga omnes, è destinato oggi a diventare ancora più problematico.
Lo strumento in questione infatti supera, de facto, il principio della anteriorità dei diritti e ne crea uno nuovo: quello dei diritti “a ricarica”. I diritti ci sono non in quanto tali, “riconosciuti” dalla Costituzione a tutte le persone, ma in virtù del rispetto di una legge le cui condizioni sono, pur sempre, fissate dal governo, ossia dalla autorità politica, per sua natura discrezionale, ricorrendo alla decretazione d’urgenza.
I diritti cessano di essere disponibili e diventano quasi ottriati, concessi dal sovrano al suddito in virtù del rispetto delle condizioni fissate dal sovrano medesimo. Una volta conclusa la vaccinazione spettano 9 mesi di piene prerogative, suscettibili di essere ulteriormente limitate in funzione di un peggioramento della situazione sanitaria, oltre i quali, in assenza di una nuova vaccinazione, disposta dal governo, il godimento di quelle prerogative verrà meno.
Si dice che in assenza di simili misure l’alternativa sarebbe la limitazione delle libertà di ognuno, il lockdown, le chiusure generalizzate. Ma chi dice che l’alternativa debba essere questa? Il lockdown, la chiusura generalizzata, sono pur sempre una scelta politica, effettuata sulla base di indicazioni di un comitato scientifico, nominato dal governo, ed in carica in funzione di un decreto-legge adottato dal medesimo esecutivo, poi convertito dal Parlamento.
Altre esperienze nazionali, come quella inglese o svedese, hanno dimostrato e stanno dimostrando come sia fallace ritenere privo di alternative il binomio green-pass o lockdown. La scelta di tale meccanismo appare cioè fondata su motivi esclusivamente politici più che sanitari.
Tutto questo finisce per creare una assuefazione da parte del cittadino rispetto alla limitazione dei propri diritti la cui tutela viene ritenuta possibile proprio in funzione del rispetto di quelle regole, di quelle norme, che consentono di accedere a quei diritti.
Un giudizio completo sulla dinamica in questione, a mio giudizio molto pericolosa, potràessere dato solo nel momento in cui il governo, nel prossimo anno, sarà chiamato a decidere se, e di quanto, prorogare lo stato di emergenza che sorregge l’intera disciplina del green pass.
È evidente che, laddove l’esecutivo ritenesse di dover prorogare la disciplina vigente in funzione di uno stato di emergenza che, come sostiene lo dottoressa Azzolini, sembra più uno stato di precauzione, i profili di illegittimità della disciplina emergerebbero in maniera più evidente a tutti.