Sul web, si sa, nulla è gratis. Ma mai prima d’ora era stato possibile assegnare un valore monetario a tutte quelle informazioni che ognuno di noi, inconsapevolmente e con tanta disinvoltura, regala ogni giorno ai padroni del web.
La compartecipazione di macchine e sensori alla vita degli individui è resa possibile grazie all’estrazione, analisi ed elaborazioni di continue informazioni private riguardanti gli utilizzatori dei servizi innovativi, cosa che ha condotto ben presto all’inaugurazione di un nuovo modello economico, basato sul riconoscimento del valore contenuto nelle informazioni personali di ciascuno di noi, fattore alla base dell’economia digitale e che rende questi elementi la proiezione digitale della nostra stessa vita.
Ogni volta che “clicchiamo” qualcosa sul web o effettuiamo una scelta su un dispositivo cediamo alla rete, senza saperlo, un pezzo di noi: un’opinione, un’emozione, un desiderio o un sogno. Come in un grande puzzle, la rete colleziona i singoli frammenti e, like dopo like, con meticolosa pazienza algoritmica, riesce a comporre la fotografia del nostro essere.
È tale, ad esempio, il funzionamento di Facebook ads, il sistema interno al popolare social network grazie al quale è possibile raccogliere i dati di ogni utente intento a navigare tra like, post e selfie, per poi analizzare tutte queste informazioni e proporre, ad ognuno e in maniera specifica, pubblicità e suggerimenti ad hoc, sulla base proprio di quanto precedentemente visto, commentato o apprezzato.
La recente emergenza sanitaria, al contrario di quanto accaduto nella vita reale, ha rappresentato letteralmente un tocca sana per i social che, a causa del lockdown e della scarsa possibilità di movimento delle persone, ha visto esplodere il traffico sulle proprie piattaforme. Solo nel primo trimestre di quest’anno, ad esempio, Facebook ha fatturato più di 26 miliardi di dollari.
Secondo le elaborazioni del sito di elaborazioni statistiche Chartr, la raccolta e l’analisi dei dati di ciascun utente nordamericano hanno fruttato a Mark Zukerberg 16 dollari al mese, per un totale di 48 dollari nel primo trimestre 2021, proventi derivanti proprio dalla pubblicità mirata offerta ad ignari navigatori proprio da Facebook ads. Una semplice operazione aritmetica ci fa ben capire il valore di un’azienda che ha in pancia due miliardi di account attivi, una realtà che non produce nulla e che possiede soltanto server
Una miniera d’oro rappresentata non da pepite, ma da una montagna di dati personali che, una volta elaborati da sapienti algoritmi, danno origine ad un nuovo Klondike la cui ricchezza, però, è solo per pochi.
Ormai i dati personali sono diventati un mezzo di scambio equiparabile ad una vera e propria moneta. Sta facendo discutere quanto realizzato a Madrid da un’azienda tech, ovvero il primo distributore automatico di merendine dove il cliente, in cambio delle sue informazioni personali, può ritirare il prodotto desiderato. Se si ha voglia di un frullato basta inserire il proprio indirizzo mail, così come per un tramezzino basta qualche informazione sul proprio profilo professionale.
“In tema di trattamento dei dati personali la Spagna, come il resto del continente europeo, è in linea con quanto previsto dal GDPR. Ma anche qui non mancano le zone d’ombra. Da diverso tempo, come del resto anche in Italia, qui in Spagna si è avviata una intensa riflessione sull’integrazione fra diritto e tecnologia, con il primo che tenta – a torto o a ragione – di contenere il secondo, a volte frenando la creatività digitale iberica. É certo che stiamo vivendo una vera Età del Dato, con un altissimo potenziale innovativo ma che necessita anche grande consapevolezza da parte degli utenti, beneficiari finali ma anche generatori di dati, su quali informazioni personali voler condividere e che valore attribuire loro” ha dichiarato per LabParlamento Dario Maccarrone, giovane startupper italiano residente a Valencia da diversi anni. Come si suol dire, ogni mondo (e la sua privacy) è paese.