Il Consiglio dei ministri di mercoledì scorso ha dato il via libera ai licenziamenti, salvaguardando soltanto alcuni settori ancora particolarmente esposti allo strascico della crisi pandemica (essenzialmente quelli della moda e del tessile allargato, per i quali il blocco rimane in essere sino al prossimo 31 ottobre). È questo quanto deciso dal Governo guidato da Mario Draghi dopo un serrato confronto con le parti sociali. La misura, come ipotizzato in una nota della Banca d’Italia, ha permesso sino ad oggi di salvaguardare 600 mila posti di lavoro, frenando di conseguenza il tasso di disoccupazione, che in chiusura 2020 risultava addirittura più basso di quello dello stesso periodo dell’anno precedente (9% contro il 9,8% del 2019). Un mercato dopato ma che ha dato sollievo a molti.
Dopo dunque più di un anno di stop (era il 17 marzo 2020) si potrà tornare a licenziare per “giustificato motivo oggettivo” (ovvero per motivi economici), provocando ciò notevole incertezza anche in chi, in questi mesi, aveva comunque la certezza di riscuotere qualche introito (seppur pochi, maledetti e subito) mettendo ciò a garanzia di nuovi debiti nel frattempo contratti per mantenere in equilibrio la propria famiglia.
A pagarne le spese – dopo il turno dei lavoratori autonomi – tocca adesso anche ai lavoratori c.d. “garantiti”, ovvero quelle che – a differenza di molti italiani liberi professionisti – un lavoro dipendente (e uno stipendio a fine mese) ce l’hanno sempre avuto, salario indiscusso anche in tempo di lockdown.
Per loro – ma, in generale, per tutti – arriva adesso il redde rationem della crisi sanitaria, quel punto di non ritorno rappresentato dallo squilibrio finanziario tra quanto entra a fine mese e quanto si è costretti a spendere per restituire i soldi avuti in prestito durante la pandemia. Soltanto adesso, con la venuta meno del reddito principale, molti dovranno fare il conto con la propria sovraesposizione finanziaria, capendo di non riuscire più a onorare i propri impegni.
E se non se la si ci fa più allora arriva l’ufficiale giudiziario. Per chi si è esposto più delle sue capacità economiche, le norme oggi in vigore, al contrario della credenza comune, permettono il pignoramento di più del classico “quinto”dello stipendio e della pensione, generando spesso situazioni al limite della civile sopravvivenza. Le ultime riforme legislative per quanto riguarda le esecuzioni immobiliari hanno peraltro velocizzato e semplificato le procedure per far sì che i creditori entrino il prima possibile in possesso dei loro crediti.
Per far fronte a queste situazioni, nel 2012, è stata varata la Legge n. 3/2012, strumento normativo che ha come obiettivo quello di dare la possibilità alle persone fisiche, ai piccoli imprenditori, ai liberi professionisti, agli agricoltori e alle piccole aziende in forte stato di sovra indebitamento, di azzerare tutto e ripartire puliti.
Questa legge prevede che i soggetti “non fallibili” e cioè quelli che non possono ricorrere alle procedure fallimentari perché non ne hanno i requisiti o perché sono dei privati consumatori, possano richiedere al giudice la possibilità di sdebitarsi usando una delle possibilità previste dalla procedura. In pratica, a fronte di un piano “di rientro”, il giudice, accertata la situazione di impossibilità a far fronte a tutte le spese, “taglia” il debito, dando la possibilità al soggetto di essere sgravato in maniera considerevole del pesante fardello. Non è una legge dedicata ai “furbetti”, ma a chi si è indebitato per normali esigenze di vita, messe in discussione dal ciclo degli eventi. In attesa forse anche di “ristori” pubblici ma arrivati.