Contributo del prof. Angelo Rinella
Uno dei princìpi che si afferma contestualmente alla sovranità popolare attraverso le elezioni dei membri del Parlamento è quello del divieto di mandato imperativo. La libertà d’azione del rappresentante venne protetta attraverso una serie di prerogative, come l’insindacabilità delle opinioni espresse nell’esercizio del mandato o l’inviolabilità personale – per difenderlo da attacchi provenienti dall’interno delle istituzioni –, e attraverso la certezza della durata del mandato, per assicurargli la stabilità nelle relazioni esterne con i cittadini (salvo i casi estremi coperti dall’impeachment, che si trasformerà, nei governi parlamentari, nell’istituto della fiducia).
Il conferimento del mandato rappresentativo è personale e di norma non è delegabile, né soggetto a istruzioni vincolanti. Il divieto di mandato imperativo è diffusissimo: esso impone ai rappresentanti di farsi carico degli interessi generali considerati nel loro complesso, senza vincoli nei riguardi degli elettori o del partito di provenienza. Nel corso dei secoli la sua giustificazione si è fondata di volta in volta su presupposti diversi: oltre ai problemi pratici causati dall’applicazione del mandato privatistico (che vincola i mandatari alle istruzioni ricevute), l’interesse del Re di vedersi approvate le sue proposte, senza che i rappresentanti dovessero renderne conto ai loro committenti; la volontà del Parlamento di sostituirsi al sovrano dopo la Rivoluzione inglese; l’intento della borghesia di identificare la sua volontà con quella della nazione dopo la Rivoluzione francese. Oggi, la finalità del divieto è di garantire l’indipendenza del parlamentare da ogni tipo di influenza che possa compromettere la sua funzione equilibratrice di composizione e sintesi degli interessi settoriali.
In epoca contemporanea, la crisi dei partiti, unita ad altri fattori già ricordati, hanno determinato la crescente richiesta, da parte dell’opinione pubblica, di strumenti per far valere in maniera diretta e su iniziativa popolare la responsabilità politica degli eletti. La previsione del mandato imperativo, consente di ovviare al problema di fondo del divieto, che può produrre crisi di stabilità del rapporto fra gruppo partitico e singolo parlamentare.
Il rafforzamento del controllo degli apparati di partito a scapito dell’autonomia del rappresentante si rintraccia in alcune costituzioni di ispirazione marxista e leninista fino agli anni ’80. Il deputato poteva essere revocato per iniziativa dei suoi elettori qualora avesse tradito la loro fiducia o avesse compiuto un atto indegno della sua funzione (URSS, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Romania, Repubblica democratica tedesca). Il mandato imperativo opera tutt’oggi a Cuba, in Cina, Corea del Nord, Vietnam.
Dunque nell’Europa ex comunista, nei regimi autoritari e in America latina si diffonde l’istituto della revoca del mandato. Si tratta della prerogativa riconosciuta ai cittadini di promuovere una votazione diretta sulla permanenza in carica di un pubblico ufficiale con mandato elettivo.
In America latina, le prime esperienze storiche sono quelle di alcune Province argentine e di Cuba, che già prevedeva la revoca nella costituzione del 1940 e poi in quella del 1976, ma mai fu utilizzata, in coerenza con il principio del centralismo democratico. In epoca più recente, la revoca si è largamente diffusa in molte Province e Municipi argentini, mentre a livello nazionale è stata incorporata nella costituzione colombiana del 1991, in quella peruviana del 1993, in Venezuela nel 1999 e nelle costituzioni di Ecuador e Bolivia nel 2008 e 2009. All’ampia previsione sulla carta, fa pendant uno scarso utilizzo, con le sole eccezioni di Perù (prima della riforma del 2015) ed Ecuador (prima della riforma del 2011).
In alcuni ordinamenti, destinatari del procedimento sono tutti i funzionari elettivi, dal consigliere comunale al Presidente della Repubblica, come in Bolivia, Ecuador e Venezuela, quest’ultimo essendo l’unico Paese ad avere sperimentato un processo di revoca presidenziale, contro Hugo Chávez nel 2004; in altri, la revoca è limitata al solo livello locale o regionale, come in Colombia e Perù.
I motivi che legittimano una proposta di revoca possono essere di due tipi: il generico malcontento dei cittadini rispetto alla gestione del funzionario, come in Colombia, Cuba, Ecuador prima del 2011, Perù e Venezuela; la mancata attuazione del programma di mandato, per cui i cittadini devono dimostrare la sussistenza di inadempienze o violazioni del patto elettorale (Bolivia, Colombia, Ecuador). Dove non sussiste l’obbligo di motivare la proposta di revoca, lo strumento tende a trasformarsi da diritto dei cittadini di esercitare un controllo sugli eletti, a espediente per i partiti di opposizione, e soprattutto per i candidati sconfitti, per attaccare politicamente i propri avversari, come in Perù e negli USA.
Fra i paesi ex comunisti la revoca è prevista in Bielorussia, Moldavia (solo per i Sindaci), Polonia, Slovacchia, Turkmenistan. In Romania è indiretta: il popolo è chiamato a pronunciarsi sulla proposta di impeachment votata dal Parlamento. In Lettonia, 1/10 degli elettori può proporre un referendum per il recall dell’intera camera, non di singoli deputati, mentre esiste un’altra forma di revoca indiretta, a conferma dello scioglimento del Parlamento indetto dal Presidente.
Il recall statunitense, disciplinato già all’epoca delle colonie, è ora previsto in alcuni Stati solo per i funzionari locali, in altri anche per quelli statali. A livello cittadino è lo strumento di democrazia diretta più diffuso negli Stati Uniti.
Non sono assimilabili al mandato imperativo, benché giungano allo stesso esito, le soluzioni offerte dalla revoca popolare in casi di violazione di legge (il recall nel Regno Unito) e la perdita del mandato a causa di iscrizione a un partito diverso da quello per il quale ci si è presentati alle elezioni, come conseguenza estrema del principio secondo cui l’elettore vota il partito e non il singolo candidato (Portogallo, Belize, Guyana, Panama, Marocco, Namibia, Sudafrica, Nigeria, Congo, India, Pakistan, Bangladesh). Ulteriori fatti possono portare alla perdita del mandato, come le cause di incompatibilità, che ogni ordinamento provvede a disciplinare.
Mentre l’ineleggibilità comporta l’esclusione preventiva dalla competizione elettorale, una incompatibilità non impedisce al candidato di essere eletto. Essa indica quella situazione per cui un soggetto non può ricoprire allo stesso tempo due cariche, imponendo una scelta entro un certo termine, pena la decadenza dal mandato rappresentativo. Le cause possono essere già indicate in costituzione o demandate alla disciplina di una legge apposita. In genere, sono incompatibili con la funzione parlamentare incarichi in organi di rilievo costituzionale, al fine di salvaguardare il principio di divisione del potere (Francia, Italia), ma non mancano casi in cui siano altre posizioni ricoperte a determinare potenziali conflitti di interessi di natura economica, che in questo modo si intendono prevenire (Cile, Germania, Grecia).
*Professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma LUMSA
L’argomento è più ampiamente e sistematicamente trattato nel manuale Pegoraro-Rinella, Sistemi Costituzionali Comparati, Giappichelli, Torino, 2017.