Le nuove tecnologie potranno favorire il formarsi della volontà popolare direttamente sulla rete ma tanti restano i nodi da sciogliere, soprattutto sulla sicurezza
di Alessandro Alongi
Il passepartout per il futuro si chiama «blockchain». Grazie a questo sistema tecnologico infatti, tutte le future transazioni sul web saranno sempre più sicure, controllate e non modificabili, un sistema protetto di trattamento dei dati in grado di assicurare la verifica e la certezza di ogni singola azione nel mondo della rete.
Ne sa qualcosa il mondo della finanza, ambito che più di tutti sta sviluppando applicazioni pratiche costruite sulla blockchain utilizzando, in particolare, la caratteristica vincente di questo innovativo sistema basato su “blocchi” di informazione, singole porzioni di dati legate tra di loro in ordine progressivo e cronologico (da qui il nome di blockchain), una filiera digitale costantemente tracciata, verificata e, grazie alla crittografia, anche anonima.
Senza la blockchain non sarebbero mai nate monete elettroniche come Bitcoin o Etherum, ma anche al di fuori dell’ambito bancario sono molteplici gli usi di tale sistema. Non a caso anche l’Unione europea ha da poco avviato un Osservatorio sulla blockchain, con lo scopo di incoraggiare le pubbliche amministrazioni, l’industria e i cittadini a trarre beneficio dalle possibilità che offre tale sistema. E c’è chi addirittura ipotizza che, nel giro di poco tempo, si potrà realizzare un sistema di voto basato interamente su questa tecnologia.
Non è più così lontana la possibilità che anche l’atto più democratico ed espressione del massimo livello di uguaglianza e libertà, quale il diritto al voto, potrà subire presto o tardi una «conversione digitale», trasformando le modalità di scelta dei governanti da pratica amanuense a modalità elettronica, direttamente su Internet.
Le sperimentazioni dell’e-vote nel mondo non mancano, e non tutte hanno avuto esito positivo: antesignana del voto elettronico l’Estonia, dove il suffragio digitale è ormai una realtà, seppur parallelo al tradizionale sistema basato su carta e matita. L’elettore può scegliere in definitiva se votare sul web o recarsi al seggio. Alle ultime elezioni un terzo dei cittadini estoni ha preferito votare rimanendo seduti sul divano di casa o smanettando con lo smartphone.
Anche la Francia ha avviato un test, dapprima per consentire la votazione dei transalpini residenti all’estero e, successivamente, anche in occasione delle ultime presidenziali, soltanto però in alcuni dipartimenti. Buoni i risultati, cosa che lascia ben sperare per il futuro. Non di concorde avviso i cittadini svizzeri che, dopo una prima sperimentazione, hanno deciso di abbandonare l’esperienza nel 2015 a causa dei dubbi relativi alla sicurezza informatica delle preferenze espresse. Analoga esperienza negativa in Norvegia che tra il 2011 e il 2013 si è cimentata con il suffragio elettronico, per poi fare dietrofront per via di alcune criticità legate – anche in questo caso – alla sicurezza. Problema risolto alla radice nei länder tedeschi dove, per via di una pronuncia della Corte Costituzionale di Berlino, il sistema di e-voting è da escludersi ope legis poiché ritenuto inaffidabile dalle massime toghe teutoniche.
In Italia le cose non vanno di certo meglio, dopo i dubbi sollevati a valle della sperimentazione della regione Lombardia in occasione del referendum sull’autonomia celebrato lo scorso anno, risultati tutt’altro che lusinghieri.
Forse, allora, proprio la blockchain sarà la risposta. La rivoluzione elettorale è già partita in Giappone dove, nella cittadina di Tsukuba, è stato lanciato il primo referendum che utilizza il sistema di blockchain. Tutti i cittadini della località nipponica sono stati dotati di un codice PIN certificato (simile al nostro SPID) e chiamati ad esprimersi sul web.
In linea teorica la preferenza elettronica rappresenta un sistema chiaro, semplice, immediato e certificato per definire il risultato di una competizione elettorale. È innegabile che un sistema elettorale basato su una procedura digitalizzata comporta notevoli risparmi (stampa della scheda e del personale ai seggi), tempestività dei risultati (con la certezza degli eletti già a chiusura delle operazioni elettorali) e – seppur in linea teorica – assenza di brogli.
Accanto a ciò, un sistema elettronico è chiamato nel contempo a garantire il rispetto dei diritti civili e politici ormai consolidati nella nostra democrazia, quale il suffragio universale (con la garanzia di parità di accesso a tutti gli elettori alla piattaforma dove esprimere la scelta, ivi inclusi i disabili, anziani e a tutti coloro i quali sono poco avvezzi alle tecnologie) e il rispetto, l’eguaglianza e la segretezza dei voti (tutte le scelte devono avere lo stesso valore e le procedure elettroniche devono essere tali da impedire il collegamento dell’elettore al voto espresso).
Sarà la blockchain la chiave per il successo? Per adesso non sono tutti «bit» e fiori, ma in futuro chissà.