Per il presidente Inps Tito Boeri, che ha presentato la Relazione annuale, il “buco” contributivo varrebbe una manovra economica da circa 38 miliardi di euro all’anno. “Ora, cambiamo nome all’Istituto”
di LabParlamento
L’immigrazione non è solo un problema sempre più grave da risolvere ma anche un’occasione importante per evitare il fallimento del nostro sistema di protezione sociale. Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, entra a gamba tesa – come gli capita sovente – nel dibattito politico in corso in queste ore, a livello Ue e interno, in occasione della presentazione alla Camera del rapporto annuale dell’istituto, in cui ha calcolato che se i flussi di entrata dovessero azzerarsi, avremmo per i prossimi 22 anni 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati. Effetto immediato: un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell’Inps. Il che si traduce in una manovra economica aggiuntiva, ogni anno, per tenere i conti sotto controllo.
Per questo Boeri – pur «consapevole del fatto che l’integrazione degli immigrati che arrivano da noi è un processo che richiede del tempo e comporta dei costi» – spiega che è necessario «avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno degli immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale». Gli immigrati che arrivano in Italia del resto sono sempre più giovani: la quota degli under 25 che comincia a contribuire all’Inps è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015. Si tratta, ha calcolato l’istituto, di 150 mila contribuenti in più ogni anno. Numeri che compensano il continuo calo delle nascite, «la minaccia più grave alla sostenibilità del nostro sistema pensionistico», dice ancora Boeri.
Dal rapporto si apprende anche che sono 5,8 milioni i pensionati italiani che nel 2016 potevano contare su un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro al mese, il 37,5% del totale (15,5 milioni i pensionati), in calo dal 38% del 2015. Per le donne la percentuale è del 46,8% (3,8 milioni di persone) mentre per gli uomini è del 27,1%. Il blocco dell’adeguamento all’aspettativa di vita per la pensione di vecchiaia “non è una misura a a favore dei giovani”, aggiunge poi il presidente a proposito della discussione sul possibile stop nel 2019 all’adeguamento dell’età di uscita spiegando che i costi si “scaricherebbero sui nostri figli e sui figli dei nostri figli”. Per Boeri sarebbe meglio una misura per la fiscalizzazione di una parte dei contributi all’inizio della carriera lavorativa per chi viene assunto con un contratto stabile.
Utile, sempre secondo Boeri, introdurre il salario minimo nel nostro ordinamento. “Avremmo il duplice vantaggio – dice – di favorire il decentramento della contrattazione e di offrire uno zoccolo retributivo minimo per quel crescente nucleo di lavoratori che sfugge alle maglie della contrattazione”.
II presidente annuncia anche che è arrivato il momento di cambiare nome all’istituto in Istituto Nazionale della Protezione Sociale. L’ente infatti non eroga più solo pensioni ma tutto un insieme di prestazioni, dal bonus mamma domani ai nuovi voucher, che disegnano una nuova missione. “Chiediamo al Parlamento di cambiare la denominazione del nostro Istituto perché corrisponda maggiormente a ciò che effettivamente facciamo ogni giorno”. Una modifica a costo zero, nessun “onere aggiuntivo per la finanza pubblica” neppure la modifica dell’acronimo sulle sedi Inps, sottolinea ancora Boeri che sottolinea come ormai siano complessivamente “440 le prestazioni erogate dall’Istituto, di cui solo 150 di natura pensionistica”. Da settembre, infine, l’Inps attuerà le visite fiscali anche nel pubblico impiego e nel 2018 sarà l’ente concessorio del Reddito di Inclusione, la prima misura di assistenza sociale estesa su tutto il territorio nazionale.