Bisogna migliorare la competitività. De Novellis (REF ricerche) analizza per Labparlamento l’impatto del decreto dignità sul mercato del lavoro
Di Valentina Magri
“È destinato al fallimento l’approccio in cui si obbliga l’impresa a non scappare dall’Italia. Le imprese se ne vanno da un territorio quando quest’ultimo non è competitivo. Il provvedimento però può avere un valore simbolico, in quanto è positiva l’idea che bisogna essere selettivi quando si strutturano degli incentivi pubblici”. Questo il parere di Fedele De Novellis, partner di REF Ricerche, sulle norme sulle delocalizzazioni contenute nel decreto dignità.
Cosa ne pensa dell’obbligo di restituzione dei sostegni pubblici con gli interessi se un’impresa delocalizza?
“La delocalizzazione è un fatto normale nelle imprese. È destinato al fallimento l’approccio in cui si obbliga l’impresa a non scappare dall’Italia. Le imprese se ne vanno da un territorio quando quest’ultimo non è competitivo. Il tema vero è la scarsa attrattività del sistema economico, di cui dobbiamo chiederci il perché. Le imprese non fanno investimenti per godere degli incentivi fiscali, che semmai possono a volte accelerare dei processi. Gli investimenti sono effettuati in base alla competitività del sistema, in termini di capitale umano, valutazione del ritorno dell’investimento e certezza dei diritti. Servono dei provvedimenti per migliorare la competitività del sistema paese.”
Come si potrebbero a suo avviso evitare le delocalizzazioni da parte delle imprese su suolo italiano?
“Sarebbe meglio optare per dei meccanismi di incentivazione, che potrebbero ad esempio basarsi sul finanziamento di lungo periodo dell’investimento oppure su benefici diluiti nel tempo e legati a una certa attività e più in generale, misure che legano l’impresa alla competitività di un territorio”.
Quanto sarà efficace la norma sulle delocalizzazioni, visto che non è applicabile per i paesi europei?
“Sarà poco efficace. Inoltre un’impresa del resto può chiudere e poi riaprire facilmente altrove con una diversa ragione sociale. Il provvedimento pertanto è facilmente eludibile. Il provvedimento sulle delocalizzazioni però può avere un valore simbolico: è positiva l’idea che bisogna essere selettivi quando si strutturano degli incentivi pubblici, in modo che abbiano un impatto positivo sulla competitività dei territori e non ci siano truffe. In passato con gli incentivi al Sud è accaduto che li abbiano percepiti alcune imprese che poi chiudevano subito dopo e andavano all’estero. La pirateria degli incentivi è un classico, quindi ben venga una nota di attenzione”.
Quale impatto potrebbe avere la stretta sui contratti a tempo determinato del decreto dignità: un calo dei precari o un aumento della disoccupazione?
“Entrambi. Io condivido l’idea di ridurre la durata massima dei contratti a termine: 2 anni sono sufficienti. La reintroduzione delle causali invece costituisce una complessità burocratica e un’ipocrisia. Sappiamo bene che si sceglie contratto a termine perché è a termine, non necessariamente per particolari esigenze produttive. I contratti a termine sono usati anche come periodo di prova o per non assumersi impegni fin da subito. Le causali sollevano solo contenziosi. Era positivo che fossero state eliminate in passato; reintrodurle può creare dei problemi”.
In un’intervista al Corriere della Sera il presidente di Confindustria Vicenza, Luciano Vescovi, ha detto: «Ci troviamo di fronte a un approccio dirigista che ricorda gli anni Ottanta e Novanta. Il lavoro non si crea per decreto». È d’accordo con lui?
“Penso che il lavoro si crei con la crescita, è sbagliato enfatizzare il solo aspetto della regolamentazione del mercato del lavoro. Per quanto riguarda l’approccio dirigista, allora tutti i Governi l’hanno avuto, compreso quello di Renzi che ha varato degli sgravi contributivi per le assunzioni. Ma siccome convenivano alle imprese, nessuno si è lamentato. Ora che i provvedimenti non piacciono, il Governo è criticato.”
Qual è l’approccio migliore per far crescere qualità e quantità dell’occupazione in Italia?
“Il sistema economico torna a crescere se aumenta la produttività, che di conseguenza incrementa la domanda di lavoro e i salari. Focalizzarsi sulla normativa di incontro tra domanda e offerta ha margini di miglioramento limitati. In Italia il problema più che altro è l’economia ferma, quindi il mercato del lavoro non dà risultati soddisfacenti. Le modifiche alle regole del mercato del lavoro non hanno pertanto un grosso impatto sulla dinamica di occupazione, salari, redditi e precarietà.”