di Francesco Scolaro
Settembre, da sempre – ma con l’importante eccezione del 2011, quando tra luglio e agosto lo spread sfiorò i 300 punti, il Governo Berlusconi varò una pesante manovra correttiva e la BCE inviò a Roma la lettera per “chiedere” misure finalizzate ad evitare la bancarotta – è il mese nel quale la vita politica a Roma riprende vigore, ma soprattutto è il tempo del realismo e dei numeri. È il mese nel quale i conti (pubblici) devono, come si dice in gergo, “tornare”, e nel quale il Governo definisce nero su bianco il disegno di legge di stabilità (ex finanziaria) che sulla base della legge 196 del 2009 (modificata dalla legge 39 del 2011) deve essere presentata in Parlamento entro il 15 ottobre, per poi essere approvata in via definitiva in tempo utile per entrare in vigore il 1° gennaio dell’anno successivo.
I conti economici trimestrali e gli altri indicatori economici pubblicati dall’ISTAT nei giorni scorsi hanno certificato che in Italia il periodo di recessione continua, affiancato dalla deflazione (per la prima volta dal 1959) e da un crescente tasso di disoccupazione.
Il Governo Renzi è entrato in carica il 22 febbraio 2014 e da allora il Consiglio dei Ministri ha approvato 26 disegni di legge; 17 decreti-legge, di cui 14 già convertiti in legge; 30 decreti legislativi, di cui 24 approvati in via definitiva. Dei provvedimenti varati, 40 sono già pubblicati in Gazzetta Ufficiale e, di essi, 15 non prevedono ulteriori interventi attuativi, mentre i restanti 25 rinviano a 171 provvedimenti da emanare da parte delle Amministrazioni centrali. Finora, non si può dire che l’azione governativa non sia stata corposa, ma purtroppo non è riuscita nel suo intento di risollevare le sorti economiche del nostro Paese, segno che la malattia di cui soffre l’Italia è più grave del previsto e che una grossa fetta dei pazienti (i cittadini italiani) ha una scarsissima fiducia in una rapida guarigione.
Il Presidente del Consiglio Renzi non si mostra sfiduciato e, anzi, continua a dirsi convinto che “l’Italia ce la può fare” e che il suo Governo farà le riforme “senza guardare in faccia nessuno”. L’ottimismo di Renzi è ovviamente un elemento positivo e sembra sia stato recentemente affiancato da una (sana) dose di realismo: il fatto che si sia passati dal “faremo una riforma al mese” all’ “agenda dei 1000 giorni” (presentata il 1° settembre, da monitorare sul sito web passodopopasso.italia.it) è da commentare come un fatto positivo. Quella che può sembrare una diluizione nel tempo di obiettivi prima annunciati come prossimi è in realtà la presa di coscienza di quelle che sono le tempistiche necessarie affinché l’attuale macchina statale (Parlamento in primis) sia in grado di produrre effettivamente dei risultati “storici”. Renzi parla di riforme strutturali in grado di cambiare l’Italia: quelle riforme non si possono fare in un pugno di mesi, purtroppo.
In attesa di riuscire a riformare le macrostrutture della pubblica amministrazione e i macro-settori statali (dalla giustizia al lavoro, al fisco e si potrebbe continuare ancora per molto), il Governo Renzi utilizza lo strumento del decreto-legge per cercare di intervenire più immediatamente (i termini di conversione in legge dei DL sono di 60 giorni) quando le circostanze siano tali da richiedere misure rapide e impattanti.
L’ultimo (in ordine di tempo) Consiglio dei Ministri del 29 agosto ha approvato il DL cosiddetto “Sblocca Italia”. Nell’attesa di leggere il testo definitivo di questo DL, segnaliamo come si perpetui nel tempo una brutta consuetudine comune a tutti i Governi repubblicani: la data di pubblicazione del decreto-legge sulla Gazzetta Ufficiale (e la sua conseguente entrata in vigore) è sempre distante dalla data di approvazione dello stesso da parte del Consiglio dei Ministri. Questo ritardo suggerisce due riflessioni: la prima, di sistema, è che quasi mai il testo del DL pubblicato in Gazzetta Ufficiale è identico al testo del DL approvato dal Consiglio dei Ministri, che invece subisce svariate modifiche durante le “soste” nei Ministeri interessati; la seconda, sulla sua efficacia e utilità, è che la ratio che sta alla base della decisione del Governo di adottare un DL è l’esigenza di intervenire “in casi straordinari di necessità e urgenza”, come recita l’art. 77 della Costituzione, ma non si capisce come si possa giustificare la necessità e l’urgenza con la mancata rapida pubblicazione del DL in Gazzetta Ufficiale, che lo rende capace di produrre i suoi effetti.
Non sarebbe affatto male se, in attesa di una coerente e puntuale modifica della Costituzione in materia di formazione delle leggi (il DdL di riforma costituzionale prevede una modifica dell’art. 72 che assicura una sorta di «corsia preferenziale» ai disegni di legge governativi), Renzi e il suo esecutivo riuscissero a ridurre lo spread tra annuncio, approvazione e entrata in vigore dei provvedimenti. Sarebbe un modo molto semplice, quasi immediato e a costo zero, di aumentare non solo l’efficacia dell’azione del Governo, ma anche – forse soprattutto – la fiducia dei cittadini.