Che fine hanno fatto la riforma della Costituzione e la nuova legge elettorale? Sono entrambe all’esame della Camera dei Deputati e sono entrambe ferme da tempo.
Il disegno di legge costituzionale, dopo aver ricevuto l’OK dal Senato a inizio agosto 2014, è passato all’esame della Camera l’11 settembre scorso. I lavori in Commissione si sono conclusi con numerosi e rilevanti cambiamenti all’impianto della riforma, che ha subito ulteriori ritocchi nel percorso in Aula. L’emiciclo di Montecitorio ha portato a termine l’esame dei circa 1700 emendamenti il 14 febbraio 2015. Poi i lavori hanno subito una battuta d’arresto stabilita dall’Ufficio di Presidenza della Camera – d’accordo con il Governo – per permettere un più agile e rapido esame dei numerosi decreti-legge in scadenza tra febbraio e marzo.
Dopo l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, il clima politico che ha accompagnato la fase di discussione e votazione degli emendamenti in Aula al DdL di riforma della Costituzione si è surriscaldato. Con le opposizioni decise a contrapporre quanti più ostacoli possibili al percorso parlamentare del provvedimento attraverso l’utilizzo delle pratiche ostruzionistiche, l’ultima parte delle votazioni delle proposte emendative è stata particolarmente travagliata, fino al punto in cui i deputati di Forza Italia, MoVimento Cinque Stelle, Sinistra Ecologia e Libertà e Lega Nord hanno abbandonato l’Aula in segno di protesta. Solo il 14 febbraio, al termine di una seduta fiume durata 4 giorni, l’Aula ha completato i lavori sugli emendamenti, rimandando a marzo il voto finale. Poi, in realtà, il percorso di riforma non si sarà affatto esaurito. Ci sarà infatti prima una pausa di almeno tre mesi e poi entrambe le Camere dovranno esprimersi nuovamente sul DdL. Infine, il Governo ha già annunciato di voler ricorrere comunque al referendum confermativo (che invece, secondo l’art. 138 della Costituzione, è solo eventuale, nel caso in cui la legge non sia approvata dalla maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera), pertanto dovremo attendere altro tempo, probabilmente un altro anno, prima di riuscire a vedere applicate le nuove norme costituzionali.
Il disegno di legge che definisce i principi per la ripartizione dei 630 seggi della Camera dei Deputati ha una storia molto più “antica” rispetto al progetto di riforma costituzionale. È infatti uno dei primi disegni di legge depositati in Parlamento all’inizio dell’attuale diciassettesima legislatura repubblicana. L’obiettivo di una nuova legge elettorale che superi il cosiddetto Porcellum (in parte dichiarato incostituzionale dalla Consulta) è nel programma di governo di tutti gli Esecutivi che si sono succeduti dal 2006 in avanti, ma ancora nessun Governo è riuscito a centrarlo. Ci hanno provato, nell’ordine, i Governi guidati da Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi, alcuni in maniera più convinta e decisa, mentre altri solo pro forma. Adesso sembra che l’obiettivo sia finalmente alla portata ma non si può dire l’ultima parola fino a quando il risultato non sarà raggiunto. Per capire perché la cautela in questo caso è d’obbligo basta ripercorrere a grandi linee le tappe che il provvedimento ha attraversato fino a oggi. L’iter legislativo del DdL è partito dalla Camera il 10 dicembre 2013 per concludersi il 12 marzo 2014. Poi il passaggio in Senato con l’approvazione (con modifiche) avvenuta il 27 gennaio 2015. Adesso la seconda lettura alla Camera deve ancora iniziare e i presupposti non sono dei migliori e non lasciano presagire un percorso lineare e privo di strappi. La rottura del cosiddetto Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi potrebbe complicare molto le cose, anche se all’interno del partito di Berlusconi le posizioni sono estremamente variegate (il leader è orientato, al momento, verso il NO) e molti sono pronti a scommettere che, quando ci sarà il voto finale alla Camera, numerosi deputati di FI voteranno a favore del provvedimento, per evitare di consegnare a Renzi il casus belli per una chiusura anticipata della legislatura. Ma i pericoli per il prosieguo dell’esame del DdL (con la Commissione Affari costituzionali che ancora non ha impostato i lavori) vengono anche – e forse soprattutto – dalla minoranza interna del PD che chiede a gran voce ulteriori correzioni all’impianto generale della legge elettorale. Il Presidente del Consiglio Renzi è invece convinto di aver trovato un buon compromesso e vorrebbe poter presto dichiarare concluse le ostilità e vinta la guerra, magari apportando anche qualche mirato ritocco alla compagine governativa.
Sempre a proposito di riforme (qui la parola viene intesa nella sua accezione più ampia), resta avvolto dal mistero il destino del disegno di legge sulla concorrenza, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 20 febbraio e ancora non presentato in via ufficiale in Parlamento.
Comunque, dopo quasi un mese di sostanziale inerzia dovuta alle operazioni di conversione di vari decreti-legge, il Parlamento torna a occuparsi delle riforme costituzionali e istituzionali. Vedremo con quali risultati. Non si dovrà attendere molto, dato che già il 10 marzo la nebbia potrebbe iniziare a diradarsi lasciando spazio a una più nitida visione sull’esito finale: l’approvazione di entrambi i progetti di riforma o il voto anticipato, magari già prima dell’estate 2015.