Le principali differenze tra i due meccanismi di intervento, dalle coperture finanziarie necessarie (2 miliardi vs 17) alla platea di beneficiari
L’Italia ha uno dei tassi di povertà assoluta, soprattutto minorile, più alti dell’UE. Come evidenziato dal Rapporto annuale dell’Istat infatti, nel 2015 è aumentata l’incidenza della povertà assoluta, che ha riguardato circa 1,6 milioni di famiglie, pari al 6,1% di quelle residenti. Poiché le famiglie al di sotto della soglia di povertà sono mediamente più numerose, l’incidenza sugli individui è pari al 7,6% della popolazione residente (4,6 milioni di individui). I residenti in Italia al 1° gennaio 2017 sono invece 60 milioni 579 mila.
“Non e’ solo una questione di soldi è una questione di rimettere al centro l’individuo. Non è dare dei benefici o del denaro, bisogna saper ascoltare”: così il leader M5S Beppe Grillo ha aperto la marcia, definita “francescana”, per il reddito di cittadinanza, da Perugia ad Assisi. Il segretario del Pd Matteo Renzi ha replicato sottolineando che: “Noi siamo per il lavoro di cittadinanza, non per il reddito; lavoro che è dignità, e non per l’assistenzialismo”.
Ed è proprio con questo spirito che il Governo targato Pd ha introdotto lo strumento del reddito di inclusione, provvedimento al quale è seguita la firma del memorandum d’intesa con l’Alleanza contro la povertà, in attesa dei decreti attuativi. L’Italia è passata dai circa 200 milioni del Sostegno inclusione attiva ai circa 2 miliardi del reddito d’inclusione: misura strutturale destinata a crescere. Un intervento che interesserà circa 2 milioni di persone, tra cui ci sono 400 mila famiglie con minori, disabili, donne in gravidanza e over 55 disoccupati in condizioni di disagio.
Si tratta di una misura nazionale di contrasto della povertà, con carattere universale, condizionata alla prova dei mezzi, sulla base dell’indicatore della situazione economica equivalente (a caratterizzare il disagio economico si dovrebbe considerare un Isee inferiore o uguale a 6.000 euro, mentre dovrebbe essere considerato anche il reddito disponibile delle famiglie, attraverso un valore che si chiama indicatore della situazione reddituale, per cui il tetto verrà fissato a 3.000 euro), nonché all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato all’affrancamento dalla condizione di povertà e consistente in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona, assicurati dalla rete dei servizi e degli interventi sociali. Si supera la visione assistenzialista, mettendo al centro la persona. Per evitare che il beneficio si trasformi in un disincentivo alla ricerca di un’occupazione stabile, il Ministero del Lavoro sta studiando dei meccanismi per i quali la misura, in versione ridotta, venga erogata anche nel caso di incremento del reddito al di sopra della soglia di accesso al beneficio.
Il Governo ha stanziato per il Fondo per la lotta alla povertà 1.180 milioni di euro per il 2017 e 1.204 milioni annui a decorrere dal 2018, risorse che saranno destinate a garantire l’attuazione del Piano nazionale per la lotta alla povertà. In una prima fase i beneficiari che avranno accesso alla misura, in vista di un graduale incremento del beneficio e di una graduale estensione universale, saranno i nuclei familiari con figli minori o in condizione di disabilità grave o in cui siano presenti donne in stato di gravidanza e i soggetti disoccupati con più di 55 anni.
Similitudini si ritrovano nel cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle, il reddito di cittadinanza, che sarà uno dei principali slogan della prossima campagna elettorale, una proposta di schema di misure di tipo universalistico volte al sostegno del reddito, per tutti i cittadini italiani, indipendentemente però dalla loro condizione: un beneficio che andrebbe a tutti i residenti, che abbiano compiuto 18 anni, con un reddito annuo netto calcolato secondo l’indicatore ufficiale di povertà monetaria dell’Unione europea, pari ai 6/10 del reddito mediano equivalente familiare, quantificato per l’anno 2014 in 9.360 euro annui netti e in euro 780 mensili.
In tema di coperture, la proposta di reddito di cittadinanza, firmata M5S, potrebbe riscontrare una serie di problemi tecnici; i 17 miliardi annui necessari (forse sottostimati) sembrano essere ad oggi una cifra insostenibile per le casse pubbliche. Tra queste coperture si segnalano 2.5 miliardi di aumento dei canoni per la concessione di idrocarburi, 900 milioni di aumento della tassazione a banche e assicurazioni, 600 milioni di tassazione sul gioco d’azzardo, 400 milioni di soppressione di enti pubblici non economici, 600 milioni dall’8 per mille inespresso, anche se quest’ultimo non è quantificabile (viene redistribuito in percentuale secondo le quote espresse dai contribuenti, ad oggi circa l’87% va alla Chiesa).
Ci potrebbe essere una correlazione diretta quindi tra queste due misure: interventi per limitare la sofferenza dei ceti più colpiti dalla crisi. Le differenze sono invece riscontrabili nella natura del beneficio, nei requisiti e nei beneficiari delle misure perché la proposta di reddito di cittadinanza si rivolge ad una platea vasta, non esclusivamente in una situazione di povertà assoluta, mentre il reddito d’inclusione è una misura varata per fornire unicamente un sostegno alle persone che si trovano in questa condizione.